Addio a Mitoraj lo scultore che ferì la classicità

Polacco d’origine, viveva tra Parigi e Pietrasanta A Venezia una memorabile mostra diffusa
Di Enrico Tantucci

di Enrico Tantucci

«Non mi piacciono le etichette e sono, per questo, stato sempre un artista fuori della mischia. Certo, nella mia scultura c’è il richiamo alla classicità, alla statuaria, ma per l’energia che essa è capace di sprigionare, e si irradia sino a noi. Per questo mi considero, a tutti gli effetti, uno scultore contemporaneo, e le fratture che solcano le mie teste, o i miei torsi, sono anche la spia della sofferenza, del malessere che tutti viviamo. Il gigantismo delle mie opere? È una sfida, una scommessa con lo spazio, perché queste opere nascono, in buona parte, per essere esposte all’aperto».

Parlava così a questo giornale nel 2005, Igor Mitoraj, austero scultore polacco che aveva scelto da circa trent’anni l’Italia come sua patria d’adozione, in occasione della grande mostra che oltre che il museo di Ca’ Pesaro, popolò anche i campi di Venezia con le sue grandi, frammentate sculture intrise di classicismo, con un aperto elogio dell’antichità, ma che riescono, quasi sempre, a sfuggire all’insidia dell’anacronismo, grazie alla sua poetica del frammento, alla mutilazione della bellezza che, più che a un richiamo all’estetica del rudere, le avvicina a una dimensione di inquietante metafisica.

Mitoraj è morto ieri a Parigi, all’età di settant’anni, sua città d’adozione insieme a Pietrasanta, cittadina toscana dove risiedeva da tempo, vicino alla cave di marmo, materia principe delle sue grandi sculture, alternando le sue permanenze nei due luoghi. Si era formato agli inizi degli anni Sessanta 1963 all’Accademia di Belle Arti di Cracovia, con un insegnante come Tadeusz Kantor, artista a sua volta oltre che grande autore teatrale che l’aveva profondamente segnato. Poi, alla fine degli anni Sessanta, Parigi per continuare gli studi d’arte e quindi nei primi anni ’70 l’amore per la scultura antica, prima per quella delle antiche culture sudamericane e poi per quella della classicità, dopo alcuni viaggi illuminanti in Grecia.

La “scoperta” del marmo arriva nel 1979 con il primo viaggio a Pietrasanta, in Toscana, a ridosso delle cave che forniscono il marmo di Carrara. Gli anni Ottanta, del resto, sono quelli in cui esplode il suo successo.

Mitoraj viene invitato alla Biennale di Venezia (1986) e poi a New York, dove espone all’Academy of Art (1989). Arrivano gli inviti dei musei, le commesse internazionali. Le sue opere colpiscono e fanno discutere nelle piazze delle grandi città da Milano (la Fontana del Centauro Omaggio a De Sabata)a Roma (la Dea Roma nel quartiere Prati e i grandi portali per Santa Maria degli Angeli) passando per Parigi, Londra, Atlanta, Tokyo e appunto anche Venezia.

Nel 2011 è il primo artista contemporaneo ad esporre nella Valle dei Templi di Agrigento. Pietrasanta rimane comunque per lui il centro creativo. E per la cittadina toscana, dove forse verrà seppellito dopo la cremazione a Parigi, Mitoraj si spende in più occasioni donando sue opere.

«La scomparsa di Igor Mitoraj ci priva di un artista che della materia ha fatto armonia, uno scultore che ha amato profondamente e vissuto intensamente il nostro Paese» lo ha ricordato ieri il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. «Stavamo lavorando, insieme al soprintendente Massimo Osanna per la realizzazione di una mostra a Pompei dopo le splendide esposizioni di Agrigento e dei Mercati di Traiano a Roma».

«Più successo di lui lo hanno avuto davvero in pochi» ha ricordato il critico d’arte Philippe Daverio «si possono avere dubbi sulla sua grandezza, ma tutti gli riconoscono di avere avuto la capacità di creare un’icona, che è poi ciò che si chiede oggi a un artista. Mitoraj lascia appunto un’immagine, quella di un’antichità che ci è caduta in testa: è stato un traghettatore della classicità nel contemporaneo».

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