Addio all'ultima diva di Hollywood
Chiude a 79 anni una vita esagerata, tra due Oscar e infiniti scandali

A sinistra Liz Taylor con James Dean nel «Gigante», film mitico e campione d’incassi Al centro l’indimenticabile immagine di una delle più belle attrice mai apparse ad Hollywood Sotto, con Richard Burton, il grande amore della sua vita. Sposato due volte e mai dimenticato
LOS ANGELES.
Con Elizabeth Taylor, morta ieri a 79 anni, scompare una delle più grandi dive di Hollywood, l'ultimo prodotto del vecchio «star system». C'è una specularità costante tra la Liz dello schermo e la Liz della vita: di entrambe emerge, sia pure attraverso mille sfumature, l'immagine di una donna bella, ricca, privilegiata ma allo stesso tempo sola, alla ricerca disperata di affetto e di sicurezza. Fu la Metro Goldwyn Mayer ad adottarla quando era ancora piccola, a coccolarla e educarla come si fa con la figlia prediletta: aveva appena 11 anni quando interpretò il suo primo film, «Torna a casa Lassie» (1943), e subito divenne la beniamina del pubblico. Ma poi anche la piccola Taylor crebbe: lo fece sotto gli occhi del pubblico che la vide trasformarsi da ragazzina ingenua e petulante a giovane sensuale e elegante, protagonista di tante commedie nel ruolo di moglie, amante o madre. Vincent Minnelli la volle ne «Il padre della sposa» (1950). Per George Stevens recitò in «Un posto al sole» (1951), per Stanley Donen in «Marito per forza» (1952) ancora per Stevens nel «Gigante» (1956). A partire da questo film, che la vedeva accanto al mitico James Dean, Liz Taylor passò a interpretazioni drammatiche dove era spesso alla ricerca disperata di una compagnia maschile dominante che non sempre riusciva a ottenere. Le sue crisi affettive furono sempre devastanti e altamente conflittuali. Sotto lo sfavillio di abiti e gioielli Liz incarnava il mito del femminino hollywoodiano: il suo interesse preminente era essere donna, piacere agli uomini, dai quali cercava sicurezza e protezione. Ed in questo senso si differenziava da tante sue colleghe come Katharine Hepburn, Bette Davis, Susan Hayward. La sua fama crebbe a cavallo tra gli anni '50 e '60: nell'«Albero della vita» (1957) di Dmytryk, Liz era una corvina signora della Louisiana ossessionata dal dubbio di avere sangue negro nelle vene. Seguirono i due film tratti dai drammi di Tennessee Williams: «La gatta sul tetto che scotta» e «Improvvisamente l'estate scorsa» di Mankiewicz. Buona parte della critica vi ha trovato le migliori interpretazioni della Taylor. Nel 1960 «Venere in visone» di Mann le portò il primo Oscar e nel 1963 «Cleopatra», il film multimiliardario girato a Cinecittà che dissanguò la Fox, la consacrò diva per eccellenza. Si calcola che il suo compenso di allora fu di un milione di dollari. Sul set del film nacque la tempestosa storia d'amore con Richard Burton, con cui recità anche in «Chi ha paura di Virginia Woolf» (1966), che le valse il secondo Oscar. Fino agli inizi degli anni Settanta la carriera della Taylor proseguì tra successi e grandi registi come Huston e Losey. Cominciò quindi un lento declino in cui gli aspetti mondani e sentimentali della vita privata sembrarono prendere il sopravvento sulla carriera artistica. Ma a differenza di altre attrici, come Judie Garland o Marilyn Monroe che furono schiacciate da alcolismo e nevrosi, Taylor riuscì a superare quei momenti e a restituirsi al mondo dello spettacolo.
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