Addio Pampanini, fu un sogno degli italiani

ROMA. Prima di Gina Lollobrigida, prima di Sophia Loren, al tempo dei concorsi di bellezza e di un’Italia che la guerra non aveva piegata, l’astro di Silvana Pampanini cominciò a risplendere e non fu una stella cometa, ma una stella luminosa che attirò registi famosi, attori di grido, principi e magnati in una ridda di successi commerciali, applausi internazionali, flirt sempre annunciati e sempre smentiti, compreso quello romantico di Totò, che per la bellissima attrice provò un sentimento profondo e mai veramente ricambiato. Nata a Roma il 25 settembre del 1925, romana ma di famiglia veneta del Polesine, Silvana Pampanini è morta ieri al Policlinico Gemelli di Roma dove era ricoverata da metà ottobre.
Doveva essere cantante nel segno di una zia celebre, la soprano Rosetta. Diplomata all'istituto magistrale e al Conservatorio di Santa Cecilia aveva una vera propensione al canto, tanto da aver tenacemente conservato la sua voce in tutti i film in cui i suoi personaggi cantavano, mentre tante brave doppiatrici si sostituirono sempre a lei per darle voce nei film più celebri. Invece le cose cambiarono in una sola notte quando la sua maestra di canto la iscrisse a sua insaputa al primo concorso di Miss Italia, a Stresa nel 1946. Sconfitta dalla giuria fu recuperata a furor di popolo dal pubblico, tanto da obbligare gli organizzatori del premio ad attribuirle un “ex aequo” che ne fece subito una ragazza-copertina sui rotocalchi. Il passo verso il mondo dorato del cinema, amplificato dai fotoromanzi e dalle prime indiscrezioni sentimentali fu brevissimo tanto che nello stesso 1946 Silvana otteneva il primo ruolo a Cinecittà: “L’apocalisse” di Giuseppe Scotese anche se furono veterani della regia come Giacomo Gentilomo, Camillo Mastrocinque, Guido Brignone a insegnarle le tecniche della recitazione in un apprendistato rapidissimo e capace di portarla al successo già due anni dopo.
Il 1949 è l’anno di “I pompieri di Viggiù” di Mario Mattoli in cui interpretava Fiamma, figlia del capo dei pompieri Carlo Campanini. In un set in cui appariva anche Wanda Osiris, la bellezza prorompente dell’ex Miss Italia fece subito la differenza. Sullo stesso set, in un diverso episodio, c’è anche Totò che la vorrà con sé in “47 morto che parla” di Bragaglia l’anno dopo. Ma nel frattempo i binari del successo della nuova «divina» di un cinema popolare fatto di sorrisi, sketch da rivista, parodie bonarie e sapori da neorealismo rosa, sono già ben delineati ai suoi piedi.
È dello stesso anno “Bellezze in bicicletta” di Carlo Campogalliani che la vede al fianco di una scatenata Delia Scala nel ruolo di un’aspirante ballerina che vorrebbe entrare nella compagnia di Totò. La coppia funziona anche perché le due attrici rivelano presto le loro anime candide anche nella ricerca della fama e il pubblico si commuove mentre il motivetto del titolo diventa un tormentone in tutte le piazze d’'Italia. Un passo ancora e la sua popolarità varca i confini nazionali.
Diretta da Mario Soldati in una scatenata parodia dell’hollywoodiano “Quo Vadis”, la Pampanini veste la stola di Poppea duettando con Gino Cerci in “O.K. Nerone” che si afferma all’estero e soprattutto in Francia. Diventa “Nini Pampan” e riceve le prime proposte di coproduzioni fra Parigi, l’America del Sud, perfino l'Egitto. Rifiuta Holliwood e grazie alla guida del padre che ha lasciato il lavoro di tipografo per farle da agente, non abbandona Cinecittà e anzi si afferma in un cinema più “serio” grazie ad autori come Luigi Zampa (“Processo alla città”), Luigi Comencini (“La tratta delle bianche”), Pietro Germi (“La Presidentessa”), tutti del 1952. Un anno dopo è il maestro del melodramma neorealista, Giuseppe De Santis a incoronarla come icona del miglior cinema popolare in “Un marito per Anna Zaccheo” e la rivorrà nel 1958 per “Una strada lunga un anno”. In mezzo c’è spazio per grandi trionfi come “Un giorno in pretura” di Steno, «La bella di Roma» di Comencini, «Racconti romani». Lavora moltissimo all'estero.
Con il nuovo decennio è invece fin troppo frettolosamente archiviata dal nostro cinema a favore di nuove bellezze e di un cinema più smaliziato e adatto ai tempi del boom. Sarà Dino Risi a tributarle un omaggio nel “Gaucho” del 1964 in cui le affida però il ruolo di una diva sul viale del tramonto.
L'attrice ha intanto trovato un nuovo pubblico alla tv, mezzo in cui crede fin dalla nascita. Poco dopo però si ritira di fatto, vedendosi come una nostrana Greta Garbo che Cinecittà non merita più. Per due volte è stata regista (due corti del 1958), ha dato alle stampa un’autobiografia piena di verve fin dal titolo “Scandalosamente perbene”, ha sempre mantenuto uno stretto riserbo sulle sue vicende private celando perfino il nome del grande amore che non avrebbe potuto sposarla perché stroncato a pochi mesi dal matrimonio da una malattia. Dotata di una allegra autoironia come si vede bene nel «cammeo» regalato ad Alberto Sordi ne “Il tassinaro” (1983) è sempre stata anche una spiritosa polemista come quando si scagliò contro la “presunta erede” Gina Lollobrigida o come quando attaccò il sindaco di Roma, Walter Veltroni per averla ignorata al tempo della Festa del Cinema.
Dicono che di lei si invaghirono Jimenez presidente venezuelano, Faruk d’Egitto, Fidel Castro, Tyrone Power, Orson Welles, Ormar Sharif, William Holden. Hirohito imperatore del Giappone le regalò una bambola e cinque kimono.
Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha espresso cordoglio in un messaggio: «È sempre stata orgogliosa delle radici venete».
Fino alla fine è rimasta diva. Ai medici del Gemelli diceva di avere 85 anni, non 90; ogni giorno finché ha potuto si è truccata e ha indossato la parrucca. Con lei se va un’icona di un’Italia che non esiste più.
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