Alle 10,30 l'addio a Stefano Favaro

Una morte senza perché, se non l'oscuro «male di vivere»
Cecio, che per lavoro tagliava siepi e piantava fiori alla ricerca dell'armonia, s'è legato una corda al collo in bagno e se n'è andato così l'altra sera. Coinvolgendo chi gli stava attorno nel sommovimento sismico d'un distacco improvviso e perciò ancor più intollerabile, ha mollato gli ormeggi, che lo ancoravano alla vita, senza avvisarci prima: ha aggirato le difese che mettiamo in atto quando l'impossibile irrompe nella nostra esistenza, spalancando la porta all'impotenza della condizione umana. Ci ha esposto, nudi, alla fragilità dell'essere.  Per questo abbiamo reagito, negando un senso alla sua decisione. Invece che accettare di non poterci dare una risposta, abbiamo continuato a porci la più inutile delle domande: perchè? Invece di abbandonarci, affranti, al mistero, abbiamo fatto e rifatto considerazioni scontate. Ci siamo persino permessi una diagnosi: non era depresso. Crediamo di conoscere tutto di questo dolore morale, della disgregazione del cervello, che porta al suicidio il 15% di chi ne è colpito. La malattia è subdola, indossa mille maschere: aggredisce lenta e corrosiva, ma sopravviene anche rapida come il lampo che solca un cielo in tempesta. Ora è tempo di dolore e nel dolore dobbiamo trovare la forza di dire un grazie a Cecio. La sua morte «senza un perchè» ci ha cambiati, non siamo più quelli di prima. Ha cancellato la bellezza fasulla con cui ci rappresentavamo il mondo a nostro uso e consumo. Siamo piombati in un baratro. Capaci, domani, di costrurcene un'altra: più aspra, ma autentica. Riconoscendoci granelli di sabbia portati dal vento. Piccola luce nell'universo, che di colpo s'abbuia.

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