All’Internato Ignoto il museo è ora digitale

Ritratti dei compagni di prigionia, bozzetti raffiguranti i campi, immagini rubate durante le giornate nei lager. Sono circa 250 i disegni visibili in formato digitale al Museo dell’Internamento. «Si tratta delle testimonianze che negli anni ci sono state donate da ex militari italiani internati e dai loro familiari – spiega Maurizio Lenzi, presidente provinciale dell’Associazione Nazionale ex Internati –. L’idea di scansionare gli originali e di proporli in versione digitale nasce dall’impossibilità di esporre tutto il materiale, causa la carenza di spazi».
Ogni disegno è accompagnato da titolo, nome dell’autore, luogo e data di realizzazione. «I tedeschi mettevano a disposizione degli internati italiani semplici strumenti per disegnare – spiega Lenzi –. Non potevano ritrarre gli ufficiali tedeschi o disegnare le mappe dei campi, però avevano la possibilità di ritrarre i compagni e disegnare scene di vita quotidiana nei lager». Le tecniche sono varie: dall’acquerello alla matita. «Di recente il pronipote del generale Armando Diaz, ci ha donato 80 dipinti del padre, anche lui internato nei lager», continua Lenzi. La collezione è stata arricchita con alcune locandine realizzate dai militari internati.
Oggi, alle 9, verrà celebrato al Tempio Nazionale dell’Internato Ignoto il 75esimo anniversario dell’Internamento dei Militari Italiani nei lager nazisti. Ospite speciale, domani, alle 9.30 a Palazzo Moroni, Michele Montagano, reduce dei lager nazisti e ultimo sopravvissuto dei 44 ufficiali internati nello Straflager KZ di Unterlüss. «Il 24 febbraio 1945 oltre duecento ufficiali italiani si rifiutarono di lavorare – spiega Lenzi –. Fra i dissidenti furono scelti ventuno prigionieri per essere fucilati. Quarantaquattro ufficiali italiani, tra cui Michele Montagano, si offrirono volontariamente per essere fucilati al posto dei compagni. I tedeschi, evidentemente sorpresi dal gesto eroico, li lasciarono sei ore davanti al plotone di esecuzione per poi trasferirli in un campo di rieducazione». —
Martina Mazzaro
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