Alluvione, un anno dopo: viaggio a Casalserugo

CASALSERUGO. Comune martire. Bastano solo tre cifre per ricordare che in provincia di Padova il comune di Casalserugo ha pagato il dazio più alto all’alluvione del novembre 2010. Circa l’80% di territorio allagato, 800 imprese e 200 famiglie colpite duramente, danni stimati per oltre 42 milioni di euro. Cifra inferiore solo a quella registrata dal comune di Vicenza (62 milioni) e superiore quindi anche a quella messa ad inventario dal Comune di Monteforte d’Alpone, «epicentro» del disastro (34 milioni).
Casalserugo si sta ancora leccando le ferite. La sindrome da bollettino meteo condiziona ancora pesantemente i suoi abitanti. E’ un tarlo che scava nelle menti e che tocca nervi scoperti, provocando un dolore lancinante, non appena all’orizzonte compare qualche nuvola. Il sindaco Elisa Venturini «reclutò» uno psicologo per dare conforto agli sfollati. Fece clamore quella sua scelta, ma si rivelò particolarmente utile. «Scoprimmo ben presto – dice il primo cittadino – che la gente provata e umiliata da quella condizione, scaraventata di colpo fuori casa dall’acqua, addolorata per la perdita di tante cose care, spesso anche dei propri animali, aveva tanto bisogno di sfogarsi. Di prendersela con qualcuno. Di urlare la propria rabbia. Parole ne abbiamo prese tutti, ma era umano. La gente doveva scaricarsi in qualche modo». Ma c’è anche chi non ha avuto nemmeno il tempo di imprecare, perché c’erano da salvare le mucche, i vitellini, i mobili, i vestiti, gli oggetti più cari.
«Siamo stati svegliati nel cuore della notte. L’acqua avanzava. Gli animali nella stalla rischiavano di annegare – racconta Igino Greggio, titolare di una fattoria in via Sperona – Nonostante l’ora ho chiamato un amico autotrasportatore. Era appena tornato dalla Francia e s’era appena messo a letto. Ma non mi ha negato aiuto. E’ stata una lotta contro il tempo. Ai vitellini abbiamo dovuto legare le gambe per metterli nelle barche e portarli nei camion. I miei animali hanno trovato ricovero temporaneo in stalle di Cona, di Bagnoli, di Brugine, di Polverara. Lontano dalla mia stalla sono nati anche due vitellini nuovi, soffrono tutt’ora di problemi respiratori». I Greggio hanno abbandonato anche il piano superiore della casa, dopo che la notte hanno sentito i muri tremare sotto la spinta dell’acqua, creando un rumore sordo che la moglie di Igino continua a sognare. Sessantamila euro i danni accertati, 13.000 quelli già rimborsati. «Stava prendendo fuoco anche il deposito di fieno per autocombustione – aggiunge il figlio Riccardo – Mi hanno spiegato che l’umidità e la fermentazione creano anche di questi fenomeni. L’abbiamo sventato in tempo».
Poco lontano, in via Bacchiglione, proprio sotto all’argine del fiume maledetto, Elvio Barolo, sta lavorando nel cortile. Vicino alla vecchia cascina di famiglia e alla casa dove abita la sorella: entrambi i fabbricati recano ancora evidenti le cicatrici lasciate da acqua e fango. «Riuscimmo a sottrarre all’acqua qualche indumento – ricorda – era il caos. Il gatto l’ho salvato lanciandolo sul fienile».
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