Amianto killer, chiesti 3 anni
Nessuna misura adottata per ridurre i rischi di esposizione all’amianto. Nessuna precauzione e neppure dotazione professionale garantita ai lavoratori per proteggersi da quelle polveri maledette, provocate dalle fibre del minerale bandito dalla produzione industriale italiana nel 1992 a causa della sua pericolosità. Ecco perché, ieri pomeriggio, il pubblico ministero onorario Paolo Tietto ha chiesto ala condanna a tre anni di carcere per Enzo Vigliani, 70 anni, residente a Milano in via Sismondi 6, finito sul banco degli imputati per cooperazione in omicidio e lesioni colpose e violazione di una serie di norme in materia di sicurezza sul lavoro. Dal 13 dicembre 1973 al 25 luglio 1989 Vigliani aveva ricoperto l’incarico di legale rappresentante della Domenichelli srl, impresa di trasporti e logistica con 9 filiali in Italia tra cui a Padova, un fatturato di 198 miliardi di vecchie lire nel 1993, prima in liquidazione poi in concordato preventivo. Alle 3 di notte del 27 luglio 2009 muore Renato Zambon, 62 anni residente a Padova, ricoverato nella Clinica Medica III dell'ospedale: era stato colpito un anno e mezzo prima da mesotelioma, neoplasia polmonare tipica di chi è esposto all’amianto. Una neoplasia che può esplodere dopo un’incubazione anche di 30 anni. La vittima aveva lavorato nell'officina di Domenichelli dal 1962 al 1996 come meccanico: sostituiva le pastiglie dei freni ai camion in uso nell’impresa, pastiglie che contenevano amianto. Trentaquattro anni a contatto con le fibre assassine. Poi il male, inesorabile. Il 5 marzo 2013 muore Antonio Bortolami, 69 anni pure di Padova, addetto al ruolo di “battilamiera” provvedendo all’installazione di lamiere contenenti parti d’amianto negli automezzi: aveva scoperto di essere affetto da mesotelioma pleurico maligno il 3 marzo 2009. Nella sua requisitoria il pm Tietto ha riassunto la vicenda, insistendo sulla mancata adozione di qualunque misura di prevenzione dei rischi: i lavoratori non avevano maschere particolari e non erano sottoposti a visite mediche specifiche ma solo a quelle ordinarie, mentre i locali di lavoro erano sprovvisti di aspiratori idonei. Il difensore ha replicato parlando della mancanza di responsabilità di Vigliani in quanto non è escluso che il tumore sia stato provocato da esposizioni passate. La sentenza del giudice Chiara Bitozzi il prossimo 29 febbraio. (cri.gen.)
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