Andrea, l'oracolo dei nostri anni migliori

Il più acuto testimone di una terra: tutto vede, capisce e ribattezza
La più recente immagine di Andrea Zanzotto nella sua casa di Pieve di Soligo Accanto a lui proprio Elio Armano
La più recente immagine di Andrea Zanzotto nella sua casa di Pieve di Soligo Accanto a lui proprio Elio Armano
Quando si parla di un poeta e lo si fa senza essere un critico letterario, la cosa migliore è parlare di ciò che si sa, specie se si ha la fortuna di una conoscenza diretta che viene da lontano. Per anni, quand'ero giovane, quello di Andrea Zanzotto è stato una sorta di nome magico, un riferimento continuo ad una specie di oracolo che udivo pronunciare ogniqualvolta mi capitava di frequentare lo studio di Tono Zancanaro in via Baracca, a Padova, o quello di Augusto Murer a Molino di Falcade; o quando ancora li sentivo ripercorrere insieme le tante esperienze comuni. La stessa cosa che già mi era capitata ascoltando Ettore Luccini, il filosofo, il didatta e il "compagno" che con Zanzotto aveva condiviso gli anni padovani della formazione universitaria e dell'impegno civile e patriottico, contro il nazifascismo prima e poi durante la ri-costruzione di un'Italia diversa da quella della miseria, del vitalismo sopraffattore e del disprezzo per il cosiddetto "culturame".  Finalmente, dopo tanto sentirne parlare, l'Andrea mi è capitato di conoscerlo per davvero, alla fine degli anni '70. Intimidito, nonostante la mia inservibile loquela di giovane politico, riuscii a malapena a balbettare qualcosa sulle foto delle mie sculture che Murer mi aveva fatto portare al pranzo che consumammo da Marinelli a Solighetto. Ero letteralmente ammutolito di fronte alla rivelazione umanissima, schiva e modesta, di un "sensore", di un uomo dotato di antenne particolarissime, capaci di ricevere e di trasmettere le cose più impercettibili e di farlo in modo chiaro e amicale, con un linguaggio semplice come il pane e, insieme, con una sapienza rispettosa dell'interlocutore e smorzata dalla musicale familiarità del dialetto. Conoscere e poi frequentare Andrea nelle successive e più disparate occasioni culturali o "civili" è stato sempre come trovarsi davanti, anzi dentro quei fondali discreti ma indispensabili posti dietro le figure dominanti che, nella pittura di Cima da Conegliano, di Giorgione e di Tiziano, raccontano la forza tranquilla del nostro territorio.  Oggi, come allora, Andrea mi appare come il più acuto, errabondo e ad un tempo fermo testimone di una terra che scava nei più profondi segreti umori e sorvola come un uccello attraverso i grigiori del cielo; tutto vede, tutto capisce, interpreta, rinomina e ribattezza in nome di una laicità disincantata. Il paesaggio veneto, suo tramite, si impasta con quello di tutto il mondo dove, quando scende la sera e si spengono le retoriche dei colori, tutto «si confonde / col rumore del forno a microonde», magari fabbricato in Cina. Un mondo che, attraverso le sue parole, mostra le ferite della storia, i segni maldigeriti di uno sviluppo miope ed egoista e l'arrivo di una globalizzazione ora tragica, ora farsesca. Grazie, Andrea, e buon compleanno.

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