Anna, dalla camorra ai fiori di cappero

È duro esser giovani se si è nati in una qualche regione dell’Italia meridionale. E’ ancor più duro se si è donna. E per di più di bell’aspetto. Perché la più bella del quartiere, la più bella della scuola, la più bella del paese diventa facilmente preda delle attenzioni possessive di qualche giovane boss. No, l’amore non c’entra. È solo il gusto dell’esibizione del possesso. Si può diventare moglie e poi madre solo perché un giorno, al termine delle lezioni, un ragazzo con fare sicuro ti si è avvicinato. Un tempo certamente era così; e forse ancor oggi…
“L’isola dei fiori di cappero” (edizioni Spartaco, 120 pagine, 10 euro) è un romanzo teso e dolce che racconta di Anna, poco più di 13 anni, studentessa in un non meglio identificato centro dell’Agro aversano, la terra dei temuti e temibili Casalesi. Storia raccontata con la tensione di un giallo, e la dolcezza di un amore rimasto segreto negli anni, contro tutto e tutti, fino a sbocciare in un inatteso lieto fine a Lipari, l’isola dei fiori di cappero che dà il titolo al libro. L’autore, Vito Faenza, navigato cronista di nera e giudiziaria, ha speso più di 35 anni della sua carriera nel ricostruire oscure vicende di camorra, terrorismo e malaffare politico nella Napoli a cavallo tra la seconda metà degli anni ’70 e oggi. È al suo primo romanzo, scorrevole come una sceneggiatura televisiva, denso come ogni intrigo malavitoso.
Anna, studentessa adolescente, “non conosceva ancora l’amore” quando incontrò lui, più grande di età, che iniziò a farle una corte serrata: aveva deciso che “sarebbe stata sua. La più bella del paese non poteva che essere sua”. Lui era un piccolo boss stupido e arrogante, figlio di un grande boss potente e ammanigliato con le persone giuste. Prima o poi avrebbe ereditato il comando del clan. Una bella e giovane moglie, ancorché non amata e non riamato, gli avrebbe giovato. La camorra non è soltanto sangue, soldi e sozzerie. È la continua sopraffazione di pochi nei confronti della maggioranza azzittita. È un potere che va esibito sempre e comunque, anche nei rapporti interfamiliari. Un clan appunto.
Anna cederà, come i suoi genitori. Diventerà moglie obbediente e silenziosa, capace di supplire all’incapacità del marito quando questi, inevitabilmente, finirà in carcere. Un destino di boss al femminile si profila per lei – come nella realtà accade alle donne più scaltre di mafia, camorra e ‘ndrangheta – quando nella Milano del riciclaggio di capitali sporchi avviene un incontro che la riporta indietro nel tempo. Quando era libera. “Anna ebbe la sensazione che la sua vita avesse ripreso a scorrere, dopo essersi fermata tanti anni prima, un giorno, davanti alla scuola”.
Perché un’altra vita è possibile, nonostante tutto. Anche in quel Sud che l’autore, Vito Faenza, ci racconta con tanta forza, senza mai cadere nella facile sociologia criminale. Perché, come è scritto nell’epigrafe scelta in apertura di uno dei capitoli del romanzo, “gli uomini, fuggendo la morte, la inseguono” (Democrito).
L. V.
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