Arrestato e scarcerato due volte a causa di un cavillo giuridico

Clandestino albanese, cassiere della droga, era stato espulso ma il decreto non gli fu mai notificato L’avvocato Munari ha fatto valere la norma salvando lo straniero: era stato trovato con 161.500 euro
Di Cristina Genesin

Arrestato per violazione di un decreto di espulsione. Scarcerato (e assolto) per un cavillo giuridico. Di nuovo arrestato. E ancora, grazie allo stesso cavillo giuridico, rimesso in libertà e volatilizzato nella natìa albania nell’arco di poche ore. Non a caso: sulle sue spalle pende un’inchiesta per riciclaggio (161.500 euro in contanti che nascondeva in casa) con il forte sospetto di essere un cassiere della droga. Abilità dell’avvocato (in questo caso il penalista Massimo Munari) il cui compito è far applicare leggi e regole (peraltro votate dal Parlamento). È la storia di Aurel Hoxha, alias di Dario Myftiu, 37enne albanese, clandestino espulso, domiciliato a Rubano in una villetta in via Treviso.

23 agosto 2016: la Squadra Mobile lo intercetta a Chiesanuova e lo ferma perché deve scontare un residuo pena di 1 anno e 10 mesi (sentenza di 6 anni, 8 mesi con il pagamento di 16 mila euro di multa) in seguito a una condanna pronunciata dal tribunale di Bergamo per un traffico di 30 chili di eroina. Hoxha-Myftiu viaggia al volante di una Volkswagen, in tasca ha 3 mila euro, diversi telefonini e numerose chiavi. Una di queste apre la porta della villetta di Rubano dove custodisce i 161.500 euro. Ma per il reato contestato di riciclaggio non ci sono gli elementi per l’arresto. Che, invece, scatta per violazione del decreto di espulsione, provvedimento emesso nel 2012 per la durata di 10 anni (ovvero fino al 18 luglio 2022). Processo per direttissima davanti al giudice Sonia Bergamasco di Padova. Il risultato? Assolto perché “il fatto non costituisce reato” come reclamato dal difensore, l’avvocato Munari. «Il decreto di espulsione emesso il 2 luglio 2012 non contiene il divieto di reingresso nel territorio italiano entro il termine di legge (chi è espulso non può fare rientro in Italia per 10 anni) né risulta notificata all’imputato la comunicazione per l’espulsione...» scrive il giudice nella motivazione della sentenza. Il che significa che «l’imputato non è responsabile del reato e va assolto».

1 settembre 2016: Hoxha-Myftiu si presenta in questura per ritirare alcuni effetti personali sequestrati. Sorpresa: scatta un altro arresto in base a un ordine di esecuzione per la carcerazione firmato dal pm Walter Mapelli della procura di Bergamo. Quando diventa definitiva una sentenza, per metterla in pratica è necessaria l’emissione di un provvedimento firmato da un pm. Il pm Mapelli a proposito di Hoxha-Myftiu scrive che «deve essere ripristinato lo stato di detenzione» in quanto «è illegalmente rientrato in Italia sotto falso nome». Myftiu deve scontare un residuo pena di un anno e 10 mesi e pagare la multa, anche se il 2 luglio 2012 il tribunale di Sorveglianza aveva disposto la sua espulsione come sanzione alternativa al carcere. Ma pure in questo caso all’imputato non era stata notificata l’espulsione. E allora? L’ordine di esecuzione, che avrebbe dovuto spedirlo in carcere, viene revocato perché manca il presupposto per la sua legittimità su ricorso del legale. E Myftiu–Hoxha, nel frattempo, taglia la corda.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova