Arriva Silvio forever ritratto ironico del più italiano degli italiani

Silvio Berlusconi in un suo noto gesto A destra poco più che ragazzo
«Se fossi nato in Arabia Saudita avrei fatto lo sceicco, se fossi nato a Treviso mi sarei chiamato Berluscon, se fossi nato a Napoli avrei fatto il Berluscone». Durante una delle sue prime interviste televisive il Dottore risponde così, seduto dietro una enorme scrivania, alle spalle le gru di Milano 2. Ma è solo uno dei mille ritagli usati per confezionare il film Silvio forever di Roberto Faenza e Filippo Macelloni, presentato in un'affollatissima anteprima romana al cinema Quattro Fontane alla presenza di registi, autori e di un divertente Neri Marcorè, che nella pellicola presta l'esilarante voce fuori campo da Forrest Gump. Anche se nasce come prima autobiografia non autorizzata del più longevo presidente del consiglio, il film in realtà vuol essere l'affresco degli italiani: refrattari alle regole, furbastri con il prossimo, servili con il potere. «Lui incarna esattamente lo spirito degli italiani - spiega il regista Roberto Faenza, che nel 1978 realizzò con arguta intuizione il docu-film «Forza Italia» ritirato dopo l'omicidio di Aldo Moro - Parla con il linguaggio della gente, usa quasi sempre gli stessi cento vocaboli, si fa capire, è sintonizzato sul nostro carattere. E' l'opposizione che non c'è». Non si vede nemmeno nel film, perchè a raccontare Silvio oltre alle sue parole ci sono soprattutto dei comici: Roberto Benigni, Dario Fo, Paolo Rossi, Antonio Cornacchione, Beppe Grillo ne tracciano la caricatura in maniera più efficace di qualsiasi avversario. «E' un personaggio strepitoso, da commedia dell'arte - aggiunge Gian Antonio Stella, che con Sergio Rizzo ha scritto la sceneggiatura - non uno statista. Non ci interessa massaggiare le convinzioni di nessuno, ma farne semplicemente un ritratto». Un film che non asseconda chi lo disprezza e non lusinga gli adulatori, ma si preannuncia già discreto campione d'incassi: centodue sale in Italia lo hanno prenotato già da questo venerdì. Non male per una pellicola completamente autofinanziata, senza una lira di soldi pubblici e boicottato dalla Rai con la risibile motivazione che mostra nei trailer mamma Rosa, scomparsa alcuni anni fa: (che dice: «Silvio è così buono, così generoso, così lavoratore che non lo vedrete mai in giro con le donne»). Il film in sè è un sapiente incastro di interviste, battute, spezzoni che raccontano la vita di questo «cummenda», ganassa e bugiardo, attraverso le sue stesse gesta: dalla casa di ringhiera in via Volturno a Milano alle ripetizioni vendute ai compagni di scuola, dal Silvio chansonnier nelle navi da crociera, al palazzinaro di Milano 2. E poi la televisione commerciale, l'amicizia con Craxi che gli fruttò il decreto salva-antenne, la «discesa in campo» del 1994. Si indugia sul Bossi del 1994: «Il mafioso di Arcore», «Dove ha preso i suoi soldi?»; «E' tanto più simpatico sapendo che tutto quel che dice non è vero». E Berlusconi: «Non mi siederò mai più a un tavolo dove vi sia Bossi». Il montaggio, appena malizioso, produce un naturale distillato di ironia e sarcasmo che, alla fine, lascia l'amaro in bocca: per le folle plaudenti del predellino, sulle note del «Meno male che Silvio c'è», per gli adulatori che lo circondano, per le casalinghe innamorate. Oltre che gli italiani, ne escono massacrati anche le buonanime di Raimondo Vianello e Mike Bongiorno, con i loro sibillini appelli al voto per l'editore. C'è un irresistibile Ugo Gregoretti che descrive il mausoleo disegnato da Pietro Cascella e un inascoltato Indro Montanelli: «E' il più grande piazzista che conosca. Ha della verità un concetto molto personale: la verità è quella che dice lui». E poi le sue apparizioni «in odore di santità», le sue barzellette, il suo personale autoritratto: «Punto primo: sono simpatico. Punto secondo: ho un po' di grana. Punto terzo: la leggenda dice che ci so fare». Triste solitario e finale l'epilogo con il Drago risucchiato nel vortice del Bunga bunga, che si agita sudato nel suo letto (quello di Putin?) mentre scorrono le macerie del paese. E sfuma sulle immagini della congiura e dell'uccisione di Giulio Cesare. Ci sveglieremo anche noi da questo sogno? O resteremo i soliti, inguaribili italiani?
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