Assolta l’Anfora: è il simbolo del locale ma di scarso valore

PADOVA. Da decenni quell’anfora è il simbolo del locale, appunto l’osteria l’Anfora, nel cuore del ghetto, in via Soncin. È l’estate del 2010: un giorno passa casualmente davanti all’esercizio un carabiniere e fa una segnalazione ai colleghi del Nucleo tutela patrimonio culturale. Iniziano i guai per il titolare dell’osteria, Alberto Grinzato, 59 anni, che finisce indagato con l’accusa di aver omesso la denuncia relativa alla detenzione dell’anfora vinaria di terracotta, qualificata come un bene di provenienza archeologica.
Ieri, finalmente, è arrivata l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” pronunciata dal giudice Nicoletta De Nardus che ha accolto in pieno la tesi del difensore, la penalista Orietta Baldovin. Un sospiro di sollievo per Grinzato che aveva trovato l’anfora nell’osteria, parte integrante dell’arredo, quando aveva rilevato la licenza commerciale. L’inchiesta, coordinata dal pm Maria D’Arpa, s’era conclusa con un decreto penale di condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria di 4.550 euro in sostituzione di una pena detentiva di 15 giorni di carcere con una multa di 800 euro.
Grinzato non aveva accettato l’esito e s’era opposto, scegliendo il processo. Così s’è ritrovato imputato per aver violato l’articolo 173 del codice dei beni artistici che punisce «chiunque non presenta... la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali... essendovi tenuto». È su quest’ultima espressione che, di fatto, si è giocato tutto il processo intorno a quel reperto, secondo quanto si legge nella relazione tecnica della Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto firmata dal Sovrintendente Vincenzo Tinè: «Il reperto è autentico, si tratta di anfora vinaria qualificata come Dressel 6A di produzione nord Adriatica e di epoca compresa tra la fine del I° secolo a.C. e la fine del I° secolo d.C», si osserva, «Si inserisce all’interno di una produzione seriale estremamente diffusa a Padova... presente in tutti i contesti come elemento di drenaggio e di bonifica dei suoli umidi. Stante la serialità e l’assenza di apparato epigrafico, il manufatto è di valore commerciale poco rilevante».
Ma chi è tenuto a fare la denuncia degli atti che trasferiscono la proprietà o la detenzione di un bene archeologico? Lo specifica l’articolo 59 dello stesso codice: chi trasferisce il bene (l’alienante o il cedente a titolo gratuito la detenzione, è la norma); chi ottiene la detenzione del bene in seguito a provvedimento forzoso (cioè del giudice); l’erede o il legatario. In nessuno dei tre casi rientra Grinzato. La denuncia avrebbe dovuto essere presentata da chi trasferì nelle sue mani la licenza dell’osteria dove si trova l’anfora. Anzi, Grinzato è stato pure nominato custode del reperto archeologico.
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