Aziende a controllo estero Padova è quarta in Italia

Sono circa 211 le aziende padovane partecipate in tutto o in parte da capitali esteri. Secondo dati de il Sole 24 Ore, Padova è al quarto posto in Italia, dopo Milano, Roma e Bolzano per società partecipate con capitali esteri. È invece Reprint Ice-Politecnico di Milano a segnalare che sono 62 le aziende padovane del settore manifatturiero e 149 quelle degli altri settori produttivi a essere partecipate da capitali esteri. Un segmento trasversale che ha prodotto, l’anno scorso, 10,2 miliardi di euro di fatturato ed occupa complessivamente 28.800 dipendenti. «L’ingresso di capitali esteri nella nostra economia non rappresenta di per sé un rischio» spiega Marco Mutinelli, docente dell’università di Brescia e responsabile della Banca dati Reprint. «Chi investe in genere non sceglie imprese decotte, magari per scorporarne alcune parti o acquisirne gli eventuali brevetti ma anzi opta per realtà ad alto tasso tecnologico, proprietarie di marchi e prodotti spendibili sui mercati internazionali». Il Paese, come anche il territorio padovano, soffre tuttavia della poca attrattività del proprio tessuto produttivo: in Italia solo lo 0,3% delle imprese può fare conto su capitali internazionali e la provincia di Padova (0,34%) non si discosta dalla media nazionale.
Le cose però cambiano drasticamente se si osserva il solo settore manifatturiero. Qui la percentuale delle aziende partecipate raddoppia (0,64%) mentre cresce esponenzialmente (14,7%) la percentuale degli addetti che lavorano in queste società. A Padova la lista delle aziende cedute in tutto o in parte agli stranieri è lunga e sono passati poco più di dieci giorni da quando il gruppo Carraro ha annunciato la vendita al fondo tedesco Finatem della padovana miniGears. Un’operazione da 28 milioni di euro che lascia nelle mani del fondo un fiore all’occhiello della metalmeccanica avanzata della Zip.
«Credo vada superata una lettura unidimensionale del fenomeno» commenta dal Brasile il presidente di Confindustria Massimo Pavin, che proprio nello Stato di San Paolo, a Jundiaì ha fondato Sirmax do Brasil «ma il nostro non è un territorio in svendita. Da un lato, è vero che la crisi ha esasperato la vulnerabilità specie finanziaria e dunque la scalabilità di alcune aziende. Dall’altro, la capacità di attrarre investimenti esteri è certamente uno dei fattori per una ripresa competitiva del Paese e per la modernizzazione produttiva. Va invece stigmatizzato l’approccio mordi e fuggi di chi punta alle quote di mercato e poi chiude gli stabilimenti perché il contesto Paese non è competitivo». «Altra cosa» conclude Pavin «e qui dobbiamo darci una scossa, è pretendere che vi sia maggiore reciprocità e correttezza degli altri Paesi nell’apertura dei mercati, più coraggio da parte degli imprenditori e dei fondi italiani nell’investimento industriale oltre confine».
Riccardo Sandre
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