Bellotto era in Etiopia per il suo ultimo progetto

L’avvocato e scrittore voleva creare una piantagione di caffè. Scomparso nel giorno del compleanno della madre
PD 02/08/03 FOTO FIRMATE MICHELA GOBBI INTERVISTA DELLA DOMENICA A MARCO BELLOTTO. (CRIS GENESIN)
PD 02/08/03 FOTO FIRMATE MICHELA GOBBI INTERVISTA DELLA DOMENICA A MARCO BELLOTTO. (CRIS GENESIN)

MONTEGROTTO. È morto nel giorno del compleanno di sua mamma Paola. Marco Bellotto, scrittore, avvocato e “missionario” laico è stato trovato privo di vita l’altro ieri ad Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia dove viveva da circa un anno perché impegnato nel progetto di realizzare una piantagione di caffé secondo i principi dell’economia solidale. Ancora frammentarie le notizie che giungono dal Paese africano, ma non si tratta di un omicidio.

Marco Bellotto avrebbe compiuto 47 anni il prossimo 24 novembre. Quarantasette anni vissuti intensamente, un uomo poliedrico, affascinante, che gli amici descrivono come un “fuoriclasse”. Carattere estremamente sensibile, Marco Bellotto, figlio di Genesio, ex sindaco democristiano di Montegrotto, aveva più volte conosciuto il successo nelle sue carriere. La prima carriera, dopo la laurea in Giurisprudenza all’Università di Bologna e un promettente dottorato di diritto penale a Parma, dal ’93 è stata quella di avvocato penalista. Uno dei più brillanti, raccontano i colleghi, si era occupato di casi importanti che l’avevano reso molto conosciuto nell’ambiente del tribunale padovano.

Ma Marco Bellotto non era tipo da accontentarsi e dopo alcuni anni abbandona la toga per seguire la sua vocazione di aiutare il prossimo in un modo diverso: nel 2000 decide di dedicarsi al volontariato in Ghana dove lavora in una missione dei padri comboniani. Conclusa anche questa parentesi farà poi ritorno in patria dove all’originaria professione di avvocato sembra preferire il mestiere della scrittura. Nel 2003 pubblica per la casa editrice Sironi il thriller “Il diritto di non rispondere” con il quale è subito successo: vince infatti il Premio Calvino.

Raccontano gli amici di Marco che nelle sue tante “vite” ha fatto altrettanti mestieri, un po’ come certi scrittori americani. Tra le sue esperienze quella di barista, di documentarista, di operaio in una fabbrica di mandorlato, di insegnante... come se pensasse che, per raccontarla, la vita bisogna conoscerla il più possibile. Era anche tornato in Africa per un’altra breve parentesi come volontario mentre nel 2009 era uscito il suo secondo romanzo, “Gli imitatori” (Marsilio editore). Di romanzi Marco ne aveva già pronto un altro, che aveva dato da leggere in bozze a pochi selezionati amici ed era in attesa di firmare il contratto con un importante editore per la pubblicazione.

Ma nel frattempo era stato nuovamente colpito dal mal d’Africa. Per una società italiana stava lavorando al progetto di una piantagione di caffè in Etiopia, a Machara, nella zona dell’Harar. L’idea era di realizzare una coltivazione “green” e nel contempo dare lavoro alla popolazione locale. Ma, racconta chi l’ha incontrato in Etiopia, dopo quasi un anno in cui Bellotto si era prodigato con grande passione ancora non era riuscito ad ottenere i terreni da parte della regione Oromia, nel sud del Paese.

Agli amici italiani conosciuti in Etiopia sembra avesse confessato di sentirsi provato per le difficoltà burocratiche incontrate. Tuttavia, diceva: «Io non mollo!«. Infatti, in attesa dei sospirati permessi, aveva impiantato un piccolo vivaio di piante di caffè. «Era una persona più che apprezzabile perché coltivava un progetto di sostenibilità economica con anche obiettivi di sostenibilità sociale», dice Antonio Zilio dell’Enaip di Padova che in Etiopia, nel Tigrai, sta realizzando una scuola. Zilio aveva incontrato Marco Bellotto dai padri salesiani ad Addis Abeba e ne conserva il ricordo di «una persona molto generosa e sensibile».

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