Belzoni, da Padova al British Museum

PADOVA. Il cuore del piccolo settore egizio al Museo Eremitani di Padova è costituto da due statue di Sekhmet, dea solare, con il muso leonino. Le ha portate Giovanni Battista Belzoni dall’Egitto, destinate alla Sala della Ragione. La piccola ma preziosa collezione, in gran parte frutto del lascito belzoniano, mette in vetrina una serie di vasi canopi cinocefali ed è attrezzata con un comparto didattico sui sarcofagi e sui geroglifici. Questa briciola di Egitto è il settore più frequentato dalle scolaresche in un contesto ricco d’arte e con un vasto repertorio di archeologia romana. La storia di Belzoni è un’avventura appassionante. A lui si deve la scoperta dell’antico Egitto, allora quasi sconosciuto, il ritrovamento di tombe, statue, obelischi, l’esplorazione della piramide di Chefren, in cui riesce fortunosamente a penetrare. Ne racconta la vita Francesca Veronese, archeologa dei civici musei.
Belzoni nasce nel 1778 al Portello nel cuore di Padova, il padre è barbiere e Giovanni Battista lo aiuta. Ma il ragazzo è divorato da un’inquietudine che lo spinge a viaggiare. Dopo un soggiorno a Roma si trasferisce in Inghilterra dove si ferma 9 anni. Conosce Sarah Banne, una ragazza di Bristol e la sposa. Sarah lo seguirà nei suoi viaggi, compagna di avventure infaticabile. A Londra Belzoni si esibisce al circo Astley in prove di forza, lo chiamano il Sansone di Patagonia, solleva una piramide di dieci uomini. Il giovane padovano ha un fisico imponente e una forza straordinaria: alto quasi due metri, capelli di rame, occhi di zaffiro, è quello che le ragazze d’oggi definirebbero un figo da urlo. La sua bellezza e una capacità innata di improvvisare lo spingono alla recitazione, riesce anche ad arricchire gli spettacoli con giochi d’acqua, scroscianti fontane che sgorgano dal nulla.
Capita in Egitto quasi per caso. A Malta conosce l’emissario del pascià d’Egitto, Mehmet Alì. Approda al Cairo con il progetto di irrigazione del deserto, mette in funzione una sua macchina idraulica che funziona, ma la manodopera, che perde il lavoro, si ribella. Comincia la ricerca archeologica sul campo (1815-1818). Nel suo diario “Narrative”, Belzoni descrive la valle dei Re, resa fantasmagorica da un velo di nebbia. Conosce il console di Francia Bernardino Drovetti con cui, dopo un’iniziale amicizia, viene ai ferri corti. Più cordiali e proficui sono i rapporti con Henry Salt, console d’Inghilterra.
Belzoni fa un miracolo. La statua di Ramesse II è alta 7 metri e mezzo e pesa 7 tonnellate. L’egittologo con 80 uomini a cui riesce ad infondere una grande passione, la fa trasportare da Luxor al fiume e poi da Alessandria a Londra. Non a caso Giovanni Battista ha ispirato a Georges Lucas il personaggio di Indiana Jones. Al British Museum è destinata anche la statua di Amenofi III, il sarcofago di Seti in alabastro traslucido e altri pezzi di straordinaria bellezza.
Al British c’è una scritta poco lusinghiera: “Il museo ha acquistato questi reperti da un avventuriero italiano”. L’avventuriero morirà a 45 anni nel tentativo di trovare le sorgenti del Niger, fulminato dalla dissenteria.
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