Bricole mutanti dal legno alla plastica
Cambiano le norme inalterate dal 1439: ma è solo colpa delle teredini?

Qui sopra e in alto a destra due foto della veneziana Anna Zemella, dalla sua mostra «Alberi di laguna»
Una laguna senza bricoe è come una calle senza nizioleto. Le signore della palude, silenziose, discrete, solitarie, vegliano, a gruppi di tre, sui canali, cinte sul capo da una corona di metallo. Chiamate in altri Paesi delfini, le briccole indicano alle barche lo spartiacque tra la via percorribile e quella rischiosa. In fila indiana, alla notte, alcune si trasformano in piccoli fari illuminando le strade navigabili, scavate sull'ultima lingua di terra che separa gli umani dal mare. Potrebbero apparire identiche l'una all'altra, eppure, a vederle da vicino, ognuna mostra una storia diversa, narrata attraverso quelle rughe legnose che si sono formate nel corso del tempo, un vero alfabeto fatto di geroglifici di acqua, terra e aria. Immobili, sembrano annunciare l'affascinante struttura della città, appoggiata su una foresta di pali nascosti. E' quindi impossibile non capire quelle popolazioni di organismi che le hanno scelte come dimora ideale per deporre le proprie uova. Si pensi, rifugiarsi in una briccola: un sogno per coloro che nei secoli le ritraggono, dipingono, fotografano, immaginandosi magari di sostare sulla loro cima, a mo' di gabbiano. Da semplici spazzine di mare, le colonie di invertebrati xilofagi (mangiatori di legno) hanno guadagnato con il tempo una posizione in prima linea, con un nome preciso: si chiamano teredini e hanno nei secoli riempito pagine e pagine di letteratura, soprattutto quando si è scoperto che sono state loro a rosicchiare la Golden Hinde di Sir Francis Drake, la Victory dell'ammiraglio Nelson e l'Invincibile Armada della flotta spagnola. Le teredini s'insinuano all'interno del palo, alcune specie di crostacei lo attaccano all'esterno: entrambi conducono al crollo del tronco nel giro di un paio di anni. Ultimamente si è assistito a un utilizzo selvaggio di briccole e pali di ogni tipo, senza che ci fosse una linea guida sul materiale da utilizzare. E' da pochi giorni l'uscita di un protocollo d'intesa voluto dal Magistrato alle Acque, con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Venezia e del Comune al fine di definire una procedura che rispetti la compatibilità tra materiale e ambiente. E' stata così formata una commissione per sintetizzare i risultati delle ricerche scientifiche effettuate dall'Istituto di Scienze Marine del Cnr e dal Dipartimento Scienze Ambientali (www.magisacque.it). Nonostante diffidi dei giornalisti, è impossibile non chiedere un parere a uno speciale biologo, Davide Tagliapietra, uno che in laguna ci è nato, ci vive e, soprattutto, ci lavora come dimostra anche il suo computer, ricoperto di conchiglie, avanzi di rete, pezzettini di legno vari: un vero reperto marino emerso dai fondali. Insomma, la domanda cruciale è: «Bricoe e paline: legno o plastica?». Lo scienziato rabbrividisce all'idea di dover rispondere in poche righe a un tema così delicato, ma noi cittadini siamo curiosi di conoscere come è avvenuta la ricerca. Il suo gruppo si è occupato di piantare 60 pali realizzati con 15 materiali diversi (naturali, naturali protetti e sintetici) all'Isola di Sacca Sessola per valutare la resistenza alle teredini. Il secondo gruppo, quello dell'Università, diretto da Annamaria Volpi Gherardini, ha effettuato invece uno studio pilota sul grado di potenziale tossicità dei materiali all'interno dell'ecosistema lagunare. I risultati sono stati poi incrociati e consegnati all'intera commissione che ha prodotto una classifica di idoneità. Le soluzioni, in linea generale, confermano anche (ma non solo) la possibilità di utilizzare pali sintetici, rigorosamente in poliuretano con anima metallica o riciclati con rifiuti solidi urbani. «Il riciclo è sacrosanto, ma bisogna riflettere sull'uso del materiale - afferma Tagliapietra - perché se si ricicla tanto, si legittima anche l'idea di produrne tanto e, invece, bisognerebbe pensare a come ridurre i rifiuti a monte. Anche per i pali va fatto un discorso di questo tipo. Ragionare a lungo termine facendo tesoro degli insegnamenti dei nostri padri che piantavano e certificavano buona parte dei legni presi dai cosiddetti Boschi di San Marco. Ricreiamo quelle foreste per tutto il legno di cui Venezia ha bisogno». Per quanto riguarda le briccole di plastica: «A me personalmente intriga molto l'idea della graffettatura, o chiodatura - prosegue mentre mostra i vari tipi di briccole nella laguna, vicino alla fermata San Pietro, dove se ne possono osservare di graffettate, inguainate (dette in gergo "in mutande"), riciclate o completamente rifatte - ma non perché a priori sia contrario alla plastica. Se proprio si devono fare delle briccole sintetiche allora le vorrei fosforescenti o quantomeno artistiche!». Per graffettatura o chiodatura si intende un procedimento atto a inserire del ferro (lasciato a bagno due mesi) nella briccola di legno che lo renderebbe inappetibile alle teredini e ai crostacei, portando a oltre una decina di anni la vita del palo. Dal 1439 non si cambiavano le norme sulle briccole. Adesso ne abbiamo di tutti i tipi: de gustibus non disputandum est. Certo che le rughe, checché si dica, hanno pur sempre il loro fascino...
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova
Leggi anche
Video