Burkina Faso, ritratto del Paese che ha inghiottito Luca ed Edith

Oltre sessanta etnie e il 72 per cento degli abitanti è under 30. La dipendenza dalla Francia e i rischi di destabilizzazione

Per il mondo del volontariato e della cooperazione internazionale, il Burkina Faso non è soltanto uno dei Paesi più poveri del mondo. Ha rappresentato a lungo la speranza di una pacifica e laica convivenza possibile tra oltre 60 diverse etnie e fra tre religioni, musulmana, cattolica e animista. Di uno Stato che metteva al primo posto i valori dell’educazione, della sanità, della dignità economica e culturale del proprio popolo. Speranza infranta.

«Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi ne è sfruttato. Ci devono essere due edizioni della Bibbia e due del Corano. Se mi lascerete solo questo sarà il mio ultimo discorso».

Era il 29 luglio 1987 e fu davvero l’ultimo discorso del presidente Thomas Sankara, che meno di tre mesi dopo, assieme a dodici guardie del corpo, venne assassinato in un agguato all’interno del Palazzo Presidenziale della capitale Ouagadougou. Aveva 38 anni.

Il mito infranto

Il mito nasce allora. A cominciare dal nome: Burkina-Faso, «il Paese degli uomini integri». Lo scelse Sankara; i francesi, di cui fu colonia fino al 1960 e che negli anni Cinquanta portarono i burkinabé a combattere e a morire in Indocina, non si erano dati la pena di trovare a quel territorio un nome proprio. Lo chiamavano con un’indicazione geografica, Alto Volta.

Luca Tacchetto e Edith Blais, l’architetto padovano trentenne e la donna canadese di cui da tre settimane non si hanno notizie, sono scomparsi a Bobo Dioulasso, la seconda città del Paese, più bella e più accogliente della capitale, vivacissima per le sue attività di spettacolo, poco distante dalle cascate e dal parco di Banfora, una delle principali attrattive turistiche. Il nome significa: città dell’etnia Bobo che parla la lingua Dioula.

Cinque ore di macchina verso sud-ovest dalla capitale, appena due dal confine col Mali, una zona che, come anche tutto il Nord del Paese, il nostro Ministero degli Affari considera fortemente a rischio e dove, come sanno i cooperanti professionisti, è del tutto imprudente entrare senza una scorta armata, e piuttosto costosa, fornita dalla Gendarmerie.

Giovedì 27 dicembre, dopo un attacco jihadista a una scuola elementare dove sono stati bruciati dei libri di testo, 10 gendarmi sono stati uccisi in un’imboscata a Toéni, sempre ai confini del Mali. Dopo gli attentati del 2016 al caffè «Il Cappuccino» e del 2017 al ristorante «Aziz Istanbul», lo scorso 3 marzo è stata attaccata la sede dell’ambasciata francese nella capitale.

Nelle province del Nord, dove agiscono gruppi radicali locali, attentati e rapimenti sono quotidiani. Laurent Darbiré, vescovo cattolico della diocesi di Dori, ricorda cosa significa vivere in questa condizione: «I terroristi uccidono i maiali, che considerano impuri, dei contadini; bruciano i bar che vendono birra. E la popolazione diventa sempre più povera».

La siccità del 2017 ha provocato una diffusa carestia nel 2018, con conseguente aumento dei prezzi di miglio, mais e riso, i principali alimenti.

Iniziative del governo

Il governo annuncia un piano di investimenti in opere pubbliche, soprattutto stradali e idriche, e una crescita del prodotto interno lordo che sfiora il 7%, ma in verità anche in Burkina-Faso le disuguaglianze crescono: 20 milioni di abitanti, di cui il 72% sotto i 30 anni, 5,6 figli per ogni donna, 690 dollari il reddito medio annuo pro capite (la «soglia di povertà» indicata dalla Banca Mondiale è di 1,90 dollari al giorno).

A Essakane, la compagnia mineraria canadese Iam Gold Corporation, ha ottenuto la concessione per lo sfruttamento di una delle principali miniere d’oro africane; impiega tremila operai e trecento tecnici canadesi, che vivono all’interno del complesso con il divieto di uscirne, per ragioni di sicurezza. Ma sono migliaia i cercatori d’oro che si accampano nei dintorni delle miniere e i bambini costretti a lavorarvi illegalmente.

Le missioni umanitarie

Proprio domattina, don Andrea Cristiani, fondatore del Movimento Shalom, partirà per l’ennesima missione umanitaria in Burkina: «Incontrare i bambini adottati a distanza, verificare l’andamento della nostra Università, dei panifici, delle case famiglia per bambini orfani e di strada, dei presidi sanitari, dei pozzi per l’acqua potabile. È in questi momenti che bisogna intensificare l’impegno di cooperazione e di solidarietà».

«Il solo aiuto che serve, è l’aiuto che aiuta a uccidere l’aiuto», immaginava invece Sankara. Trentanni dopo, il suo Paese, fortemente indebitato, dipende dagli aiuti internazionali, soprattutto francesi. «La società civile deve restare vigile e le organizzazioni popolari lavorare per risvegliare le coscienze», ha scritto Germain Nama, direttore di L’Evénement, il più attento giornale del Paese. Un appello caduto nel vuoto, mentre la destabilizzazione del Burkina-Faso è il prossimo, ambito fiore funebre da mettere all’occhiello per il jihadismo globale. —




 

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