Cadorna generale del suo tempo ma non assassino

La difesa di un suo collega di oggi: «Compì degli errori, ma era un buon militare»
Di Enrico Pino *

di Enrico Pino *

Il "Mattino" ha dato vita alla raccolta di firme per cancellare il nome del Generale Luigi Cadorna dalla toponomastica di Padova, sull'onda delle emozioni create da un appello dello scrittore padovano Ferdinando Camon per il quale «…i nostri comandanti, a partire dal comandante supremo, il generale Cadorna, applicavano tattiche suicide, ordinando assalti dal basso in alto, col petto offerto alle mitragliatrici nemiche …».

L'argomento meriterebbe un approccio meno "emotivo", pur se comprensibile quando si parla delle vittime di una guerra, che si basi su di una articolata analisi storica.

La più grave accusa che generalmente viene rivolta a Cadorna è quella dell'assalto frontale, la causa delle decine di migliaia di morti in ogni offensiva.

L'attacco frontale, teorizzato in una sua circolare del 1915, era la modalità di attacco imposta dalla continuità dei fronti che caratterizzava la prima guerra mondiale in occidente e che imponeva sempre, nella fase iniziale della manovra, un attacco frontale.

Dire che i nostri comandanti applicavano tattiche suicide senza comparare i metodi di combattimento seguiti sui vari fronti, ad esempio su quello anglo-franco-tedesco, è una valutazione superficiale ed a tal proposito Mario Isnenghi e Giorgio Rochat, storici italiani di prim'ordine mai teneri con Cadorna, notano come non abbia senso addebitare a Cadorna le tragedie della guerra di trincea e l'impossibilità di sfondamenti decisivi, poiché le offensive inglesi e francesi non furono molto diverse dalle "spallate" sul Carso. La realtà di quella guerra la descrisse bene il generale von Falkenayn: «È incredibile la forza della difensiva. Essa è tanta, da condannare l'attacco alla sicura sconfitta a meno di grande preponderanza di forze e di perdite inaudite». Se la guerra voleva essere vinta, bisognava attaccare: era la logica di quel conflitto!

Ma il Generale Cadorna non emanò solo norme sull'attacco frontale, secondo la mentalità "ottusamente offensiva" che gli viene addebitata; egli diede vita anche ad una serie di circolari ed istruzioni con le quali cercò di migliorare l'impiego dei soldati ed il loro addestramento. Inoltre, pur nella durezza della sua azione, ebbe ben presente l'importanza del morale delle truppe, tanto che in un documento scrisse: «la preparazione morale dei combattenti è il fondamento del buon successo» ed in una circolare del 1916, ricordava che «si deve tendere allo sfruttamento massimo dei risultati dell'azione dell'artiglieria, col minimo possibile di perdite», richiamando a non sacrificare inutilmente vite preziose. Nel 1917, poi, la preparazione degli attacchi si basò maggiormente sulla ricerca degli elementi nemici su cui scatenare il fuoco di artiglieria prima di lanciare le fanterie all'assalto, per raggiungere il successo con il maggior risparmio possibile di vite umane. Il logorìo delle truppe era ciò che il generale Cadorna aveva capito fosse necessario evitare e lo ribadiva in una circolare del 1917 «…nelle operazioni si abbia cura di non protrarre il logorio delle truppe sino a quel limite, che d'. altra parte si raggiunge prestissimo, oltre il quale esse non danno pratico rendimento».

Un'altra accusa rivolta a Cadorna riguarda l'instaurazione di un regime disciplinare ferreo all'interno dell'esercito italiano, anche se ciò non costituiva una eccezione fra gli eserciti in guerra. Certamente egli era fautore di una disciplina basata su concetti ottocenteschi, da ottenere con sistemi oggi impensabili, ma anche dopo i ben noti disordini avvenuti nella Catanzaro, nel richiamare la necessità delle sentenze capitali, egli scrisse che «…nulla sia tralasciato… perché il soldato comprenda che vi è in alto chi si preoccupa di lui, che egli non è abbandonato a tutte le correnti, che egli è un uomo trattato con comprensione umana», sottolineando perciò l'importanza da attribuire all'uomo nei momenti più difficili.

Fra gli errori più gravi addebitati al generale Cadorna vi è poi il famoso bollettino di "Caporetto", nel quale alcuni reparti venivano accusati di viltà e tradimento. Le memorie dei protagonisti ci dicono che il testo venne approvato con quelle parole, dopo accesa discussione, allo scopo di chiarire, all'interno del Paese ed all'estero, le ragioni che avevano determinato un così vasto cedimento e che fu cercato un bilanciamento con la messa in luce, nelle righe successive, degli «sforzi valorosi delle altre truppe….».

In definitiva, il Generale Cadorna fu senza alcun dubbio una importante personalità militare, non amato né dai politici né dai soldati, ma tenuto in grande considerazione dai nemici, che temendone l'azione gioirono per il suo allontanamento dopo Caporetto. Certamente egli commise errori, anche gravi, ma si trovò a comandare l'esercito di una nazione entrata nel conflitto fra laceranti polemiche e nella quale era stato sempre scarsissimo l'interesse per le cose militari.

Cadorna deve essere considerato come uomo del suo tempo e se si vuole dare un giudizio su di lui è necessario tenere conto della sua epoca, della cultura, della sensibilità, delle conoscenze di quel tempo, oltre all'operato degli altri comandanti sugli altri fronti, non molto dissimili dal suo. I suoi criteri non furono peggiori di quelli dei comandanti alleati e nemici, e le tanto deprecate "spallate" sull'Isonzo trovarono il loro senso nella vittoria finale, una vittoria sempre sminuita in campo europeo, ma che pose termine al conflitto con molti mesi anticipo rispetto a quanto si poteva ipotizzare in quel momento. Una vittoria alla quale contribuì certamente anche l'opera del generale Cadorna.

* Generale di Divisione

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