Cangrande fu avvelenato due giorni dopo l’ingresso a Treviso

VERONA. Dopo 700 anni, la mummia di Cangrande della Scala, custodita nella chiesa di Santa Maria Antiqua di Verona ha svelato il suo oscuro segreto: il potente signore della città ai primi del Trecento, il conquistatore ghibellino e mecenate di Dante Alighieri, sarebbe stato avvelenato. Con polveri di digitalis purpurea, forse nascoste in una bevanda alla camomilla e gelso.
La morte improvvisa e prematura del condottiero, avvenuta a soli 38 anni di età il 22 luglio 1329, nella fase del suo massimo potere - proprio all'indomani della conquista di Vicenza, Padova e Treviso - era stata attribuita a un virus intestinale, trasmesso dall’acqua di una fontana contaminata. Cangrande morì dopo violenti attacchi di vomito, diarrea e febbre elevata.
Ma le analisi sui resti della mummia riesumata dal suo sarcofago alcuni anni fa, e condotte da un team di paleopatologi dell’università di Pisa guidati da Guido Fornaciari, raccontano un’altra storia. Nel tratto digestivo della mummia gli scienziati hanno scoperto tracce di camomilla e gelsi, e nel retto, nel fegato, e in campioni di feci del signore scaligero qualcosa di inatteso: una concentrazione tossica di digoxina e digitoxina, due molecole provenienti da piante di digitalisi purpurea, sostanza che se assunta in dosi errate è un potente veleno.
Secondo Gino Fornaciari - che ha pubblicato i risultati dello studio sulla rivista americana “Archaelogical Science” - «la scoperta è stata una vera sorpresa». Ma i sintomi manifestati dal condottiero prima della decesso sono compatibili con l’avvelenamento. La possibilità rimane - spiegano gli scienziati - che il veleno sia stato somministrato non intenzionalmente. Ma se come appare più probabile, Cangrande della Scala fu avvelenato, solo due giorni dopo il suo ingresso trionfale da conquistatore di Treviso, il mistero su chi gli fece bere la pozione letale rimane aperto.
Cangrande non fu solo un abile conquistatore, ma anche uno scaltro politico, un accorto amministratore e un generoso mecenate: fu amico e protettore di Dante Alighieri e tra i suoi amici si annovera anche Spinetta Malaspina il Grande di Fosdinovo.
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