Capelli d'argento

Una volta -lo ammetto ancor oggi con un po' di vergogna- ero imbarazzato per via del mio marcatissimo accento veneto a confessare che insegnavo italiano agli stranieri.
“Penseranno che non parlo un italiano ideale”, mi dicevo... Oggi mi sento sciocco per l'opposta ragione, visto che esperienza ed approfondimenti mi hanno portato a constatare l'ineluttabile realtà: l'italiano “vero” non esiste, alla faccia di Cutugno.
Se possiamo infatti affermare che a Oxford si parla l'inglese doc, che Parigi è la culla del francese e che la Castiglia serba i segreti dello spagnolo, altrettanto non possiamo concludere qui da noi, dove è la moltitudine variegata di dialetti a cucire insieme lo standard linguistico nazionale e a rappresentare così proprio uno dei più forti tratti unificatori del Paese.
Stamattina mi trovavo al laboratorio medico di Legnaro, paesino in provincia di Padova a cui faccio piacevolmente ritorno per le vacanze, i miei, l'aria fresca ed un cappuccino come si deve. Qualche volta ne approfitto per le routinarie analisi del sangue. Ero arrivato presto ma non prestissimo, in quell'orario di smaltimento tra il flusso dei grilli mattinieri e gufi ritardatari. O -semplicemente- tra lavoratori o pensionati. Che in effetti sedevano in discreto numero qua e là. Su uno in particolare mi si era fermato lo sguardo: un signore elegante, occhi azzurri elettrici contro carnagione oliva, labbra dritte e dure, mento da alpino poggiato su dita grinzose ma fiere che avvinghiavano un bastone, dal manico argenteo come i suoi capelli.
Noto che non è solo. Con lui la moglie -in piedi- e la figlia, di pochi più anni di me, che, ritirate le carte al bancone, si avvicina ai suoi e consegna loro le etichette. “Ecco, mamma, per te... Papà, tieni...” La madre sorride e ringrazia, il babbo prende il foglio a muso duro e tace, sempre seduto. Si avvicina il loro turno, la figlia fa segno a lui di alzarsi e l'uomo, appoggiandosi tutto in avanti sul bastone, ignora la mano tesa della figlia, si leva con non poca fatica e si unisce a lei e alla moglie in una bizzarra congrega familiare. La donna poi impartisce gli ordini: “Prima entra la mamma, poi tu, papà.” Lui, girata leggermente la testa di lato, la guarda fermo, ficcandole addosso quegli occhi pieni di cielo teso, senza dire niente. “Hai capito?! Prima lei poi tu. Va bene?” Ancora silenzio. Dovuto -mi dico- a che dev'esser più sordo d'una campana. “Eora, scoltame bèn: prima ea mama, dopo ti, ghèto capio?!” “No” -finalmente dice lui senza emozione- “Njaltri entrèmo insieme.” La figlia si spinge in su gli occhiali e guarda i genitori entrare lentamente in ambulatorio. Il papà appoggiangosi al fido bastone, la mamma più solerte, ma ben salda a braccetto del suo uomo.
(Cristiano Righi è artista ed insegnante di Italiano a Mosca. www.artistacris.com cris_righi@yahoo.com)
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