Caro Saba, è meglio Pascoli

Viene presentato martedì alla Libreria Lovat di Trieste un volume a tiratura limitata

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Si chiamava Umberto anche lui, come Saba. Di professione faceva il medico, il dottor Levi, e non riusciva proprio a nascondere il suo scarso apprezzamento per i versi scritti dall’autore del “Canzoniere”. Tanto che aveva composto una scherzosa poesia, in rima, che diceva: «Valgono più quattro gomme Pirelli / che tutto il Canzoniere più gli Uccelli». Attirando su di sè, più che la proverbiale ira del poeta, una sorta di mesta supplica: «Per carità, dott. Levi, non li pubblichi quei versi, se no mi assassina ed anche mi assassina gratis».

Se non fosse stato il dottor Levi a firmare quella crudele burla, Saba non avrebbe reagito così. È facile immaginare, ancora oggi, la sequela di lamentazioni, di recriminazioni che avrebbe indirizzato al malcapitato criticone. Ma lui, il medico, aveva un ruolo importante nella vita di Saba. O. meglio, in quel doloroso e malinconico tramonto che avrebbe accompagnato il poeta verso la morte, avvenuta sessant’anni fa: il 25 agosto del 1957. In una stanza della Clinica San Giusto di Gorizia, dove il primario Levi si era occupato della salute del poeta con grande pazienza e perizia. Stabilendo un rapporto con lui molto più forte di quello classico tra medico e paziente. Potremmo dire, una specie di amicizia.

Un’amicizia guerreggiata, sia ben chiaro. Con il dottor Levi che provocava Saba di continuo per distorglielo dalle sue fissazioni. Dicendogli che i suoi versi valevano poco, che lui preferiva quelli di Pascoli e Fusinato. E lui, il poeta, ribatteva che Pascoli era solo una merda, sia pure italica merda. E aggiungeva: «Come posso farmi curare da un medico a cui piace solo Fusinato?».

La breve storia del rapporto tra il poeta e quel «matto furioso» che, però, era anche un gran medico e «buon amico dal “ricettario” davvero eccezionale», che tentava disperatamente di ridurre le dosi di morfina di cui Saba non poteva più fare a meno, rivive adesso in un libro-gioiello. Un volume, stampato su carta degli anni ’30 il 125 esemplari numerati dalla Tipoteca Italiana Fondazione, che contiene tre lettere inedite e una dedica dell’autore del “Canzoniere”. Accompagnate da un’introduzione storico-critica del professor Giorgio Baroni, docente universitario e autore di numerosai saggi, e impreziosito dai disegni di Francesco Michielin, pittore veneto di Valmarino di Follina, provincia di Treviso. “Saba”, così si intitola il libro, verrà presentato martedì 23, alle 17.30, alla Libreria Lovat, in viale XX Settembre a Trieste.

Della sintonia forte che si era stabilita tra Saba e Levi parlava Stelio Mattioni nel finale della sua “Storia di Umberto Saba”, pubblicata da Camunia nel 1989. Ma queste lettere, adesso, vengono a raccontare particolari inediti della storia. E il loro ritrovamento merita di essere raccontato.

«Stavano nella biblioteca di un chirurgo, Ferruccio Voltini - racconta Francesco Michielin -. Le aveva ricevute in dono dal collega Umberto Levi, con cui aveva lavorato nella Villa San Giusto di Gorizia, la clinica che ha ospitato Saba nell’ultimo, doloroso periodo della sua vita. E in quella biblioteca le ha ritrovate sue . nipote, Roberto Gallon, che ogni estate ritorna in Veneto, a Cison di Valmarino, il paese accanto a quello dove abito io. Un giorno mi ha raccontato di queste lettere, e io che amo i libri fin da bambino ho pensato subito che dovevamo pubblicarle. Siamo andati a mostrarle ad Andrea Zanzotto, il grande poeta morto nel 2011: ci ha incoraggiati dicendo che trovava quegli inediti sabiani molto belli. Poi mi sono messo in contatto con il professor Giorgio Baroni e lui ha accettato con entusiasmo la mia idea».

Un artista, ovviamente, non poteva che immaginare un libro-gioiello. Poche copie curate una a una. «Abbiamo stampato lettere e testi su carta degli anni ’30, scegliendo caratteri Dante di Campi di Milano, quelli che utilizzava anche Vasnni Scheiwiller - dice ancora Michielin, che ha iniziato a esporre le sue opere nel 1970, quando aveva 16 anni -. I miei disegni riproducono dei graffiti che c’erano sul muro accanto alla Libreria Saba, in via San Nicolò. Per il capolettera del testo di Baroni ho disegnato una veduta di Trieste. La scritta Saba sulla copertina, invece, è una xilografia».

Era il 5 gennaio del 1955 quando Umberto Saba decideva di scrivere una dedica, con inchiostro nero, sulla prima pagina bianca dell’edizione di lusso del “Canzoniere”, stampata da Garzanti nel 1951. «A Umberto Levi - dice il testo - 2/3 grande medico e 1/3 prestidigiatore, questo libro (che egli forse non leggerà mai) è offerto con riconoscenza e affetto, anche per il quadro del suo e del mio Bolaffio in esso riprodotto». Alludeva al ritratto che il pittore Vittorio Bolaffio gli aveva dedicato nel 1923.

Nelle lettere, invece, Saba racconta tutto lo strazio dei suoi ultimi frammenti di vita. Stremato dalla depressione, avvilito dalla morte dell’amata moglie Lina, tormentato dall’eterna insoddisfazione per come era stato accolto il suo “Canzoniere”. Parla di medicine, di tormenti notturni. Ma riconosce in Levi l’unico che ha provato a smantellare le sue ubbie, a esorcizzare il pensiero del suicidio. Dimostrando al “paziente” che il “medico” non ha bisogno di blandire, corteggiare, illudere. Tantomeno se chi soffre è uno dei massimi poeti del ’900.

alemezlo

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova