Casa di riposo, «mobbing e offese»

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Si firmano “le proscimmie”, usando un termine con cui il direttore le ha definite qualche tempo fa. Ironia a parte, è uno scenario desolante quello dipinto da alcune dipendenti della Rsa Santa Tecla, che stanche delle continue vessazioni hanno deciso di denunciare l’atteggiamento adottato dalla direzione dell’istituto per anziani nei loro confronti. E l’hanno fatto rivolgendosi personalmente, ma in forma anonima, al mattino. La Santa Tecla vanta oltre 150 anni di storia, più di 200 ospiti e 180 dipendenti. Ecco la denuncia di buona parte dei lavoratori.
La direzione. Uno dei principali motivi di agitazione del personale riguarda il rapporto con il direttore Valerio Burattin: «Il direttore ci rende oggetto di continue vessazioni – sostengono – Ci ha chiamato proscimmie, delinquenti, galline. Ma soprattutto ci costringe a lavorare nel terrore: basta un minimo ritardo o un errore di turno per essere oggetto di immediati rimproveri e richiami, anche scritti. Il direttore non accetta scuse, non vuole riceverci, ci denigra costantemente. Siamo state anche accusate di aver danneggiato l’auto di un membro del direttivo. In almeno quattro casi, denunciati da altrettanti dipendenti, lo Spisal di Padova ha riconosciuto la presenza di mobbing».
Ad essere presi di mira sarebbero soprattutto quei dipendenti “anziani” (una settantina), assunti quando l’istituto era un Ipab. Una decina di operatrici, inoltre, assicurano di essere in cura al Centro d’igiene mentale per lo stress dovuto alla tensione lavorativa. Altri dieci, negli ultimi anni, hanno deciso di abbandonare il posto di lavoro.
Telecamera. «Nell’ufficio del personale impiegato è stata installata una telecamera, mai accordata con i sindacati e senza l’autorizzazione dei lavoratori – continua la denuncia – Siamo continuamente osservati. Si pensi che siamo stati anche cronometrati mentre lavavamo gli anziani: chi andava oltre il tempo medio, veniva richiamato».
Fascia rosa. La “fascia rosa” è un particolare turno non retribuito in cui un dipendente deve rendersi reperibile: «Pur non lavorando, siamo costretti a tenerci liberi nel caso la direzione ci chiamasse a lavorare: per noi è un’ansia, anche perché non ci viene riconosciuta alcuna indennità». A proposito di indennità, nel 2006 «abbiamo prestato alla Fondazione dei soldi, di media 1800 euro a dipendente, perché l’istituto era privo di liquidità: erano indennità che ci dovevano essere restituite. Ora dalla Fondazione questi soldi ci vengono negati».
Pazienti. L’agitazione ricade poi nei pazienti: «I turni voluti dalla direzione non bastano a sopportare la mole di lavoro. Si pensi che il pomeriggio, alla Santo Stefano (la vecchia sede tuttora attiva) ci sono due operatori per 32 pazienti non autosufficienti. Alla Santa Tecla, di notte, c’è un operatore per 44 pazienti, ad ogni piano, che deve fare anche le pulizie notturne. Ci sono anziani che dopo pranzo vengono fatti accomodare in salotto e che restano lì fino a sera: se hanno la fortuna che un familiare si lamenti, arrivano tutte le cure del caso, altrimenti…». E, tra le denunce clamorose, c’è pure quella che segnala topi e acqua gelida per il blocco continuo di caldaie alla Santo Stefano.
Centro benessere. E mentre Santo Stefano cade a pezzi, «la direzione decide di spendere centinaia di migliaia di euro per una struttura, il centro benessere al Santa Tecla, che non è ancora operativa perché mancano le autorizzazioni. Era una spesa necessaria?».
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