Charlie Hebdo, la rivista che ironizzò sulla morte di De Gaulle

Il periodico nacque nel 1970 e la sua satira dissacrante non risparmiò neanche i simboli della Francia repubblicana. Negli ultimi anni ha ingaggiato una battaglia contro il "totalitarismo islamista". Aveva già subito un attentato incendiario nel 2011

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PARIGI. L’anno zero di Charlie Hebdo è il 2006: l'8 febbraio il settimanale satirico francese sceglie di pubblicare la serie delle vignette su Maometto dello Jylliands-Posten, uno dei principali quotidiani danesi, giudicate scandalose nei mesi precedenti dalle frange più estreme del mondo islamico. Il periodico affianca alle tavole danesi alcune di propria produzione: 160mila copie vengono esaurite in un batter d'occhio. Ci vorranno altre due ristampe e una tiratura totale e di 400mila riviste, per soddisfare la fame di satira anti-islamica del popolo francese.

Il manifesto dei 12: "Niente giustifica la scelta dell'odio". Alcune organizzazioni musulmane chiedono la messa al bando del numero alla magistratura e il Charlie Hebdo risponde pubblicando la lettera di 12 intellettuali (per lo più originari di paesi di cultura islamica come Salman Rushdie, Ibn Warraq e Ayaan Hirsi Ali), intitolata "Insieme contro il nuovo totalitarismo", per cui il Charlie Hebdo viene accusato di islamofobia."Dopo aver vinto il fascismo - scrivono - il nazismo e lo stalinismo, il mondo si trova di fronte ad una nuova minaccia totalitaria globale: l’islamismo". Il manifesto prosegue attaccando duramente l'ideologia che chiama "totalitarismo islamico" e ribadendo, di contro, i valori della libertà di stampa e di opinione. Nell'analisi c'è un passaggio che quasi preconizza l'attacco al Charlie Hebdo: "Come tutti i totalitarismi, l’islamismo si nutre delle paure e delle frustrazioni. I predicatori di odio fanno leva su questi sentimenti al fine di formare dei battaglioni destinati ad imporre un mondo liberticida e discriminatorio.Ma noi affermiamo con chiarezza e con fermezza: niente, nemmeno la disperazione, giustifica la scelta dell’oscurantismo, del totalitarismo e dell’odio".

Charlie Hebdo, dissacrante per mestiere. "Hara-kiri, journal bête e méchant" - "un giornale stupido e cattivo" - così Bernier e Cavanna definivano il loro Hara-kiri, progenitore del Charlie Hebdo, nato nel 1960. Divenuta "hebdo", cioé settimanale, nel 1969, la rivista fu costretta a cambiare nome già nel 1970, per via della sua ironia dissacrante, che colpì l'uomo simbolo della Repubblica francese all'alba del dopoguerra: Charles De Gaulle. In morte del generale, infatti, il Charlie titolò: "Tragico ballo a Colombey (la residenza di De Gaulle, ndr) - un morto", facendo al contempo riferimento a un recente rogo in discoteca che aveva causato 146 morti. Il ministero dell'Interno vietò la pubblicazione dell'Hara-kiri. Il divieto fu aggirato grazie al cambio anagrafico: Charlie fu un omaggio ai Peanuts di Schulz. La pubblicazione venne interrotta nel 1981 e riprese nel 1992, sotto la guida dei vecchi Gebé e Cabu - ucciso nell'attentato - ma soprattutto di Philippe Val, prima redattore capo e poi nuovo direttore, nel 2004, in seguito alla morte di Gebé. Val scelse di pubblicare le vignette su Maometto e firmò il Manifesto dei 12, ma fu criticato duramente per il licenziamento di Siné nel 2008, un disegnatore accusato di antisemitismo. Già nel 2011 il Charlie subì un attacco incendiario, la sede fu distrutta dal lancio di alcune bombe molotov. Sotto la guida del disegnatore Charb - anche lui ucciso nell'attentato - il settimanale continua a lanciare le strali della sua ironia dissacrante e libertaria contro il "totalitarismo islamista". L'ultima copertina di Charlie Hebdo era dedicata a Michelle Houllebecq, il romanziere che ha immaginato una Francia governata nel 2022 dai Fratelli Musulmani. Robert Misrahi, cronista della rivista, elogiò il "coraggio intellettuale" di Oriana Fallaci, in seguito al suo discusso "La rabbia e l'orgoglio", che lamentava la cedevolezza dell'Occidente rispetto all'ideologia islamica.

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