Chiuderà a luglio la libreria Draghi dal 1920 appagava il "vizio di leggere"
Da Giovanni Battista Randi, el siòr Tita, prima fattorino alla libreria Drucker sotto il Bo e poi direttore e quindi proprietario dell'insegna Draghi, a Elena e Lorenzo. Sono cambiati i tempi e le abitudini e molte librerie tradizionali scompaiono

Lorenzo ed Elena Randi
PADOVA. Per la libreria Draghi, che ha aperto a Padova nel 1920 con Giovanni Battista Randi,
el siòr Tita
, prima fattorino alla libreria Drucker sotto il Bo e poi direttore e quindi proprietario dell'insegna Draghi, sono gli ultimi fuochi di una sterminata stagione di cultura: chiuderà a luglio. Così si dissolve una tradizione, muore quell'affetto che, per molto tempo, la città ha nutrito per questa libreria.
Libreria vecchia, anche se è stata una delle prime a essere informatizzata e con una massiccia offerta di volumi, oltre 30 mila e una banca dati di 300 mila titoli. Vecchia per la formula dell'accoglienza calda, cordiale, ormai lontana dal costume attuale, pratico e algido, quasi un self-service. Pensando ad Adriano viene in mente la Ferrero, che creò il primo magazzino automatico d'Italia quando morì l'archivista dell'azienda, l'uomo che conosceva la posizione e il contenuto di ogni scatola di cioccolatini.
Adriano Hartasarich era il commesso principe della libreria Draghi e il confidente segreto di ogni cliente con il «vizio di leggere». Gli bastava un minimo indizio per trovarti il libro che cercavi ed era anche in grado di consigliare, di descrivere un'atmosfera letteraria. Era in linea con lo spirito di questa saga dei Randi. Dal
siòr Tita
a Giuseppe, che amplia il negozio e accende la parte artistica e storica, a Pietro Randi, ai proprietari di oggi, Elena e Lorenzo anche loro, pur nella congiuntura difficile, con la voglia di innovare.
Un'idea fu la saletta degli incontri dove si tenevano mostre, dibattiti, tavole rotonde; un'altra, più recente, il «libromat» che consentiva di comprare un libro prenotato, prelevandolo anche in piena notte dal distributore automatico.
Prima della crisi che ha cominciato a pesare, la Draghi, per anni la più importante libreria di Padova, restava aperta pure la domenica e dal '96 al '98 si poteva entrare a fare quattro passi tra i libri dalle 21.30 alle 23.30. «De "Il nome della rosa" di Umberto Eco - ricorda Lorenzo Randi - vendemmo più di mille copie. Un record per quei tempi».
Randi ci parla del mercato, sempre più difficile, di una crescente situazione di oligopolio, di mancanza di regole, del libro acquistato d'acchito, come una scatola di biscotti, nei supermercati, un «libro per caso» comprato da un «lettore per caso» che magari è sempre meglio di un «non lettore». Sono cambiati i tempi e le abitudini. Molte librerie tradizionali sono scomparse: Tarantola, Zambon, Rossi, Piccin, tanto per citarne alcune. Per restare sulla piazza è importante non solo vendere libri ma anche produrne. E in effetti ci sono librerie che incrociano, ed è un merito, il commercio alle linee editoriali: Feltrinelli, Mondadori, ma soprattutto Melbooks. Così si campa meglio.
Di recente Draghi si è rifugiata in una specializzazione di nicchia, giuridico-fiscale. Il settore tira, perché la città pullula di studi professionali, ma non sono certo prodotti di massa e non basta, non c'è confronto con un'offerta che, in un recente passato, girava su 360 gradi. Tutto ciò è all'origine dell'asfissia che ha colpito la Draghi. Ma c'è altro. Lorenzo Randi parla di un centro storico culturalmente agonizzante, vivo e mobile soltanto il sabato e la domenica. Infine, il trasloco della libreria dal listòn a galleria Santa Lucia, l'ha resa meno visibile, pur sempre in posizione centralissima, l'ha fatta dimenticare. Oggi chi vuole un libro fa un'altra strada: va alla Feltrinelli o in piazza Insurrezione.
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