Citran e gli altri Gli amici di Carlo diventati cinema

In un documentario di una quindicina di anni fa ci sono tutti, e tutti insieme. C’è Carlo Mazzacurati, che in qualche modo occupa il centro e poi quelli che lo hanno aiutato, a partire da Piero...
Di Nicolò Menniti Ippolito

In un documentario di una quindicina di anni fa ci sono tutti, e tutti insieme. C’è Carlo Mazzacurati, che in qualche modo occupa il centro e poi quelli che lo hanno aiutato, a partire da Piero Tortolina e quelli che lo hanno accompagnato: da Enzo Monteleone a Umberto Contarello e Roberto Citran, che di Mazzacurati è stato l’attore feticcio, presente, con parti grandi o piccole, in quasi tutti i suoi film.

Il documentario di Marco Segato si intitolava «Padova in celluloide» e bisogna riconoscere che la Padova cinematografica deve molto a Carlo Mazzacurati. Sin da quando fare il cinema era solo un sogno e Mazzacurati, con Monteleone e Citran si limitava a proporre i film degli altri al Cinemauno, che insieme diressero per qualche anno. Era ancora il vecchio cinema Ruzzante con le sedie di legno, le pareti fatiscenti, ma lì Piero Tortolina aveva creato uno dei cineclub più famosi d’Italia e lì Mazzacurati si era formato, guardando i film americani degli anni Settanta.

Il cinema era una passione condivisa, il cinema visto, ma anche il cinema da fare. Ed infatti quel gruppetto di amici ad un certo punto fece un salto in avanti. Decise di usare una cinepresa a 16 millimetri per girare un lungometraggio scritto e girato da loro, usando gli amici padovani come attori, ma con l’ambizione di realizzare un “on the road” italiano da far arrivare nelle sale. Poi tutti insieme andarono a Roma, perché avevano capito che era impensabile, allora, fare il cinema a Padova; in molti, qualche anno dopo, sono tornati. Roberto Citran oggi non se la sente di parlare di Carlo Mazzacurati: «Il dolore è troppo grande», dice. Ma il sodalizio attore-regista ha realmente caratterizzato l’avventura del cinema a Padova in questi anni. Perché Padova è protagonista solo in «La lingua del Santo» ma è presente sin dal primo film di Mazzacurati. In «Notte italiana», girato sul delta del Po, la città fa da sfondo, è il luogo da cui parte ed in cui torna il protagonista. Una Padova non facilmente identificabile, perché Mazzacurati evita i luoghi canonici. Come è presente Roberto Citran, che da attore di teatro, quale era diventato, comincia a passare al cinema. E quando poi si tratta di girare «Il prete bello» Mazzacurati pensa subito al suo amico di sempre e gli affida la parte del protagonista, anche se è uno sconosciuto per il mondo del cinema. Ma anche in «Il toro» Padova c’è, come c’è Citran. Questa volta si parte dal delta e si va verso Padova e poi verso le montagne. Qualche anno dopo a Padova Carlo Mazzacurati ha cercato di portare tutto il suo cinema. Ha deciso di provare a produrre qui, insieme a un altro amico di sempre, Francesco Bonsembiante. Alcuni film sono stati addirittura montati a Padova, perché per Mazzacurati era importante conservare il legame. E forse per questo anche quando ha smesso di scrivere con Monteleone e Contarello, ha comunque continuato a volere a fianco Citran, magari solo per una breve sequenza girata per amicizia: era una specie di marchio di fabbrica, che raccontava di una storia vissuta insieme. E non a caso, alla fine, Carlo Mazzacurati aveva deciso di diventare presidente della Cineteca di Bologna. Perché lì erano conservati i film collezionati da Piero Tortolina, il maestro di tutti, l’uomo che aveva fatto conoscere a Carlo e a tanti altri il grande cinema americano e aveva fatto venire, a tutti, la voglia di farlo.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova