Da Padova a Lodi, il chirurgo dell’Arma al fronte: «Qui si combatte come in guerra»

PADOVA. «Quando scoppia una guerra si corre a imbracciare il moschetto e si va in prima linea, pur sapendo che le pallottole ti fischieranno sopra i capelli, starai in trincea a marcire nell’umidità e nel fango, e qualche tuo commilitone non ce la farà. Questa guerra del XXI secolo è molto diversa ma anche tanto simile. Una telefonata, ti mandano. Non sei Rambo, ma nemmeno hai da accampare scuse. Pensi un attimo ai tuoi cari, a non preoccuparli, a trovare una scusa e parti».
Le parole dalla trincea oggi non arrivano scritte su fogli lerci recapitati dopo settimane d’attesa. Le parole dalla trincea oggi sono sui social network, come racconto quotidiano della tragedia. Sono le parole di chi combatte un nemico invisibile, raccontando i normali sentimenti di paura, ansia, ma anche il supporto della razionalità e dell’adrenalina. «Questa è una guerra, ma noi abbiamo due amori a cui abbiamo giurato fedeltà e che ci spingono ad aiutare gli altri: la medicina e l’Arma».

mandato a codogno
Questa è la storia del colonnello Pierluigi Fornasini, padovano, dirigente medico dell’Arma, chirurgo e oculista. Nella caserma di via Rismondo ha visitato e aiutato centinaia di colleghi. Non solo: nella sua carriera ha fatto parte del contingente italiano della prima Guerra del Golfo ed è stato il medico inviato a sostituire quello della base di Nassiryia dopo l’attentato del 2003.
Una lunga carriera e pochi mesi fa il “congedo in aspettativa per riduzione dei quadri”, in pratica la via per la pensione. Poi però è richiamato in servizio e l’8 marzo scorso arriva una nuova chiamata: c’è bisogno di supporto a Lodi.
«Nella mia vita ci sono state situazioni in cui era necessario partire velocemente e senza sapere bene quando si sarebbe tornati – racconta – Questa, pur nella sua tragicità, è infinitamente più semplice. Anzi, mi ha onorato che abbiano pensato a me per questo compito». Nel primo epicentro dell’emergenza, nella Lodi che è stata l’apripista delle zone rosse, sono stati inviati 3 medici-carabinieri. Hanno il compito di assistere le decine di militari arrivati da tutta Italia per gestire la situazione e di collaborare con la sanità locale: dall’ospedale alla guardia medica. Lo stesso hanno fatto anche le altre forze dell’ordine.
sanità al collasso
Il suo primo compito adesso è proteggere i carabinieri: «La situazione è buona. Il personale ha capito e si è subito protetto: abbiamo dei casi di contagio ma fortunatamente pochi e non gravi», racconta Fornasini. Dal punto di vista del territorio però la situazione ha un grosso punto critico: la sanità. «L’effetto dello shock iniziale è stato ben ammortizzato. Ora il quadro è abbastanza stabile – racconta il colonnello – L’assistenza primaria è un po’ in difficoltà: i medici di base ricevono moltissime chiamate e riescono a occuparsi solo di una fascia ristretta di casi. Alcuni di loro si sono ammalati, e altri colleghi vanno in supporto».
C’è anche un aspetto psicologico che colpisce: «Purtroppo il messaggio che è passato è che chi entra in ospedale rischia di morire da solo e gli anziani sono molto impressionati da tutto ciò: hanno paura a chiamare il medico o il 118 perché temono di non tornare più a casa – è la testimonianza del medico dell’Arma – Invece bisogna dire che 9 persone su 10, anche quelle anziane, guariscono. Che non bisogna avere paura di farsi curare nelle strutture. È vero, qui gli ospedali sono piccoli e la richiesta è stata immensa. Ma ci sono professionisti validi e generosi».
L’inganno della fatica
«Questa è una guerra», non ha paura a ripeterlo il colonnello Fornasini, che oltre ad aiutare gli altri deve pensare anche a se stesso. «È come attraversare un campo minato. Non si può vivere nel terrore, perché altrimenti ci si paralizza. Si può utilizzare l’adrenalina per avere reazioni corrette che ti portano ad adottare tutte le attenzioni giuste».
Il nemico però non è solo il virus. Ce n’è anche uno più infimo e subdolo: «Il problema è la percezione della fatica – racconta ancora il medico dell’Arma – I turni extra, il carico di lavoro, gli orari prolungati, spesso impediscono di realizzare che sei stanco. E la stanchezza fa fare degli errori e delle leggerezze. Nessuno è infallibile. Noi dobbiamo sempre proteggerci oltre che per noi stessi anche per non essere untori per gli altri. E anche quando tornerò nella mia Padova dovrò stare in quarantena, ma saranno i giorni più belli». Ma quando tornerà a Padova? «Non lo so. Sarò qui fino a cessate esigenze». —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova