Delitto di Este, assolta la badante Chinchio non ha aiutato il fidanzato

Accusata di omicidio e rapina: per la Corte d’Assise di Rovigo la donna non ha commesso il fatto 



Arianna Chinchio non ha alcuna responsabilità per la morte di Liliana Armellini. Lo ha stabilito ieri pomeriggio la Corte presieduta dal giudice Angelo Risi, che in Corte d’Assise a Rovigo ha assolto la Chinchio dalle accuse di rapina e di omicidio volontario. La donna, 37 anni di Este, è stata assolta per non aver commesso il fatto.

L’OMICIDIO

Liliana Armellini, 74 anni, era stata trovata morta nella sua abitazione di via Pilastro a Este il 23 maggio 2016. Arianna Chinchio, in quel periodo, lavorava come collaboratrice domestica a casa Armellini, a sostegno della sorella di Liliana. Fu lei, nella mattina in cui era stato ritrovato il cadavere, a chiedere l’intervento di vigili del fuoco e carabinieri, visto che la Armellini non rispondeva al telefono e non apriva la porta di casa. La 74enne era morta per soffocamento, al termine di una colluttazione e dopo essere stata legata con del nastro da pacchi a polsi e caviglie. Nel giro di pochi giorni le accuse per quel delitto erano ricadute sulla Chinchio e sul fidanzato Michele Bonaldo, già condannato a 20 anni di reclusione per la rapina finita nel sangue. La Chinchio era accusata di omicidio volontario e rapina in concorso.

LA RICHIESTA: 16 ANNI

Ieri mattina, al termine della requisitoria finale, il pm Sabrina Duò ha chiesto per la Chinchio la condanna a 16 anni di reclusione e al pagamento di 3 mila euro di multa. La pubblica accusa ha riqualificato la rapina in tentata rapina (chiedendo una pena di 2 anni), visto che in fase di dibattimento è emerso che da casa Armellini non erano spariti soldi (10 mila euro nascosti in un cofanetto e 1.450 euro trovati in due portafogli) e tanto meno era possibile capire se fossero effettivamente spariti i gioielli dell’anziana. Il pm, al capo relativo all’omicidio, ha inoltre escluso le aggravanti della premeditazione e quella del nesso teleologico (dunque di aver consumato un reato per occultarne un altro, in questo caso l’omicidio legato alla rapina), riconducendo tutto all’articolo 116 del Codice penale: l’omicidio non era stato voluto ma poteva essere previsto come verosimile.

Secondo il pm la Chinchio avrebbe fornito indicazioni fondamentali al fidanzato per entrare in casa senza la necessità di compiere effrazione, per individuare il momento adatto a compiere la rapina, per trovare eventuali soldi e gioielli. Ha inoltre avuto responsabilità nella somministrazione di farmaci tossici per limitare la reazione della padrona di casa (Rytmonorm e Citalopram), considerando l’impossibilità che la Armellini li avesse ingeriti spontaneamente o autonomamente, anche se senza un chiaro intento lesivo.

LA DIFESA: ASSOLUZIONE

La difesa, rappresentata dall’avvocato Marco Petternella, ha cominciato l’arringa finale chiedendo di non fare un processo a Bonaldo, già condannato e in carcere, ma alla Chinchio, e di non farsi influenzare dall’esito del primo. Ha inoltre messo in serio dubbio le ricostruzioni dei consulenti dell’accusa sugli orari in cui la vittima ha assunto i farmaci e sull’effettivo coinvolgimento della badante: per il legale, quelle dosi potevano essere state assunte – magari per errore – dalla Armellini in piena autonomia. Ha poi sottolineato come l’accesso furtivo in un’abitazione senza evidenti effrazioni sia un’operazione non così complicata e ha puntato gran parte della requisitoria finale sull’effettivo esito della rapina: se la Chinchio avesse voluto racimolare un bottino importante in quel furto-rapina, avrebbe avuto tempo e modo di scoprire i nascondigli dei soldi della sorelle Armellini e di fornire indicazioni precise all’esecutore del reato. La richiesta di assoluzione piena avanzata da Petternella è stata accolta dalla Corte d’Assise. —



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