Diemme caffè L’unica torrefazione con aroma padovano

L’azienda è passata di padre in figlio per tre generazioni mentre la concorrenza cedeva alle multinazionali
Di Silvia Quaranta

GUIZZA. In quasi cent’anni è passato di padre in figlio per tre generazioni, ha attraversato una guerra mondiale e traslocato più volte. Ha cambiato aspetto nei loghi e nell’estetica, ma mai nel contenuto. Ed oggi il caffè Diemme, della famiglia Dubbini, è rimasto l’unico 100% padovano. «La nostra città aveva una tradizione nel campo della torrefazione» spiega Gianandrea Dubbini, attuale leader dell’azienda «ma poi tutti i vari marchi sono stati acquisiti da multinazionali o gruppi più grandi».

Dei vari Breda, Ruffo, Incas e Vescovi sono rimasti solo i Dubbini. «E non siamo intenzionati ad andarcene» assicura il titolare «il nostro è un prodotto vivo sotto tutti i profili, compresa l’attenzione per il territorio».

La ditta è nata nel 1927, per opera di Romeo Dubbini, nonno di Gianandrea. I primi tentativi d’impresa erano stati nel mondo dei tessuti: poi, un giorno, in visita a Venezia, aveva scoperto le prime torrefazioni locali. Incantato dalla novità, Romeo decide di portarla in città, e insieme all’amico Malagoli fonda la torrefazione D.M., che poi nel tempo è diventata Diemme.

Il ramo Malagoli esce presto dall’impresa, che diventa di assoluta proprietà dei Dubbini: prima con Romeo e poi con il figlio Giulio, appassionato non solo di caffè ma anche di automobili d’epoca. Tanto che tra le sue vittorie c’è anche quella di aver riportato a Padova la storica Millemiglia, nel 1970.

Il periodo più duro è stato quello della guerra: «Di caffè ne girava gran poco» spiega Romano Nigris, anziano tostatore e storico lavoratore della Diemme, che ha fedelmente servito dal ’44 ai primi anni Novanta. «All’epoca» continua «si usavano vari surrogati, anche le bucce d’arancia. Il risultato era imbevibile, ma in tempo di guerra ci si adattava».

Oggi, per fortuna, il caffè è un prodotto accessibile a tutti. Sono cambiati i gusti e si è ampliata la scelta degli aromi, ma la tecnologia di produzione, tutto sommato, si è evoluta poco: «Guardando le macchine di cinquant’anni fa non si vedono grandi differenze» spiega ancora Nigris «la forma ed il funzionamento sono gli stessi. Però le torrefattrici moderne vanno a gas, mentre le prime andavano a legna. Durante la guerra c’è stato anche un periodo in cui mancava tutto, e per non bloccare la produzione usavamo i motori delle automobili!».

Negli anni Cinquanta, poi, la rinascita. «Il caffè si faceva in centro» racconta Gianandrea «c’eravamo noi, i Vescovi, i Breda e tanti altri. Ogni caffetteria aveva dietro la torrefazione, e il caffè non era solo una bevanda, ma anche un aroma che si diffondeva per le vie e le piazze. In quel periodo sono arrivate anche le macchinette “dosa caffè”: in casa si conserva macinato, ma nelle attività commerciali si usa in grani. E si macina sul momento, a seconda dell’esigenza. Da noi se ne occupava nonna Emma, ma appena sono arrivate le macchinette automatiche ne ha subito voluta una. E il nonno, ovviamente, l’ha accontentata».

Oggi la torrefazione Diemme conta una quarantina di dipendenti ed un fatturato in crescita, che viaggia intorno ai 13 milioni. Ha una vasta selezione di aromi («il caffè è come il vino» spiega Gianandrea, «ogni zona ha il suo») ed un settore ristorazione in espansione: “Tinto” in via Vicenza, “Box” in Prato della Valle, il grande bar sotto la sede centrale (in via Battaglia) al confine con la Guizza e il Gran Caffè Diemme in piazza dei Signori, proprio dove il signor Romeo aveva aperto il primo, negli anni Trenta. La sfida di oggi? «Esportare all’estero e produrre capsule, su cui anche Diemme sta puntando».

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