Diocesi, via alla stretta sugli immobili. «Un piano di vendita entro un anno»

PADOVA. «Anche le decisioni che riguardano i nostri beni materiali e temporali saranno giudicate dal Vangelo». Lo dice con fermezza il vescovo Claudio Cipolla, ricordando che «ci attende una verifica ben più rigorosa rispetto a quella del certificatore professionista». La Diocesi di Padova, per il quarto anno di presentazione pubblica del suo bilancio (quest’anno all’Opera della Provvidenza Sant’Antonio), ha voluto fare un ulteriore passo (non usuale né dovuto) verso la trasparenza e la chiarezza. I conti 2018 sono stati, infatti, certificati da PricewaterhouseCoopers, ma c’è di più. Perché attraverso Sinloc, l’ente ha messo sotto la lente i beni immobili dei tredici enti diocesani. Un patrimonio decisamente rilevante che, però, impone decisioni rapide e incisive. Nell’arco di un anno, ha annunciato il vescovo, sarà infatti messo a punto un piano di vendita e razionalizzazione degli immobili.
L’analisi
Non si tratta semplicemente di fare cassa, ma di essere coerenti con la missione di una Chiesa chiamata a servire i poveri, i malati, gli ultimi e i giovani. «È la coerenza con il Vangelo della misericordia» scandisce monsignor Cipolla. Tra Diocesi e altri 12 enti (Antoniana Srl, Associazione Sant’Antonio, Casa del Clero, Centro universitario, Collegio Gregorianum, Movimento Apostolico Diocesano, Opera Diocesana Adorazione Perpetua, Opera Achille Grandi, Opera Casa Famiglia, Opera Nostra Signora di Lourdes, Seminario vescovile e Villa Immacolata) la Chiesa padovana conta 66 complessi immobiliari per un totale di 300 unità catastali e circa 100 mila metri quadri di superficie complessiva, di cui circa la metà relativi a immobili istituzionali. Il valore totale di questo patrimonio è di circa 130 milioni di euro ma il saldo gestionale (la differenza tra costi ed entrate) è di 700mila euro che, viene specificato, servono per il mantenimento dello stesso. Il problema è che da una prima stima i palazzi e gli altri immobili detenuti necessitano di adeguamenti e manutenzioni per 20 milioni di euro. «Una somma che non abbiamo e, per questo, ho fretta di arrivare alla definizione di un piano di vendita e razionalizzazione che, individuate le priorità, definisca le azioni conseguenti. L’impegno è quello di poter fare tutto questo, in modo condiviso con gli enti interessati e non calato dall’alto, entro un anno».

I conti
Prendendo in esame i dati economici e soffermandosi esclusivamente sull’ente Diocesi, il rendiconto gestionale 2018 si chiude con un totale di proventi (o ricavi) per oltre 9,9 milioni a fronte di 10,5 milioni di costi. Un quadro che ha prodotto una perdita di 635mila euro. Un dato in flessione rispetto al 2017 e al 2016, anche se la riclassificazione legata alla certificazione potrebbe non rendere omogeneo il confronto. Un paragone, invece, omogeneo con il 2017 viene fatto considerando i dati aggregati dei diversi enti: perdita superiore a 1,13 milioni nel 2018, contro un disavanzo che nel 2017 si era attestato 888mila euro. Per quanto riguarda le assegnazioni dell’8 per mille, sono stati destinati 1,6 milioni in interventi caritativi; altri 1,68 milioni in esigenze di culto e pastorale; 485mila euro per il restauro di beni culturali.
Senso critico
Numeri di fronte ai quali il vescovo ha ribadito una volta di più che «non è in gioco la perizia amministrativa ma la credibilità della nostra pratica evangelica. Soprattutto perché l’annuncio del Vangelo passa anche dalla gestione economica. Una missione difficile, abbiamo storicamente commesso tanti errori e veniamo continuamente tentati di servire il denaro, “mammona”. Non ci infastidiscano quindi le domande che ci riportano al senso della nostra missione: stiamo servendo i poveri, gli ammalati, gli ultimi, i giovani, l’educazione – come diciamo e penso desideriamo – o stiamo servendo noi stessi, la nostra immagine, la nostra gloria mondana, le nostre abitudini?».
La rotta
«Poveri ma liberi» ha riassunto don Dante Carraro ricordando don Luigi Mazzucato, direttore e anima del Cuamm dal 1955 al 2008. E monsignor Cipolla ha tracciato la rotta: amministrare bene le risorse, nel rispetto della legalità e della trasparenza; non separare la vita di fede dall’attività economica, perché sbagliare il rapporto con la vita economica e con il denaro significa anche sbagliare il rapporto con Dio; imparare a vivere in comunità. Non guardando le pietre dei palazzi, ma i bisogni di chi soffre. —
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