Dubbini “puliti”: nessuna Ferrari falsa

«Mai venduto Ferrari taroccate o clonate». L’industriale del caffè Giannadrea Dubbini, titolare dell’ormai storico marchio padovano Diemme Caffè, aveva replicato con forza alla notizia dell’inchiesta di cui si era ritrovato protagonista (insieme ai fratelli Federico e Sebastiano e alla sorella Manuela) con l’accusa di contraffazione ai danni dell’industria simbolo dell’Italia, il glorioso “Cavallino”, la Ferrari appunto. Due anni d’indagine e il doloroso capitolo per i Dubbini sembra destinato a chiudersi. A loro favore. Il pm Maria D’Arpa ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale aperto in seguito a un esposto firmato dal presidente Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo. L’accusa era di aver assemblato “repliche” di auto d’epoca Ferrari, utilizzando numeri di telaio di veicoli originali di proprietà della famiglia, per poi rivenderle. Giannandrea Dubbini (difeso dal penalista Gianni Morrone) aveva subito preso le distanze da quelle contestazioni, spiegando pubblicamente che le auto d’epoca erano state ereditate da lui e dai fratelli: il padre Giulio, infatti, era un notissimo appassionato di auto storiche, oltreché di rally, e aveva lasciato ai figli un nutrito “parco”, tra cui tre Ferrari tuttora sotto sequestro, in parte venduto per finanziare lo sviluppo dell’azienda. «Siamo soddisfatti, anche se abbiamo atteso l’esito del procedimento con tranquillità, forti di aver la coscienza a posto» ammette oggi l’imprenditore che aspetta di avere in mano il provvedimento di archiviazione. Sulla richiesta, infatti, si pronuncerà il gip Paola Cameran. Giannandrea Dubbini non ha mai nascosto che l’autore della lettera anonima inviata a Maranello sia stato un ex collaboratore di Diemme Caffè. «Montezemolo inviò l’esposto dopo aver ricevuto quella lettera in cui erano riportati i modelli di Ferrari e i numeri di telaio posseduti da mio padre indicati in un registro che è scomparso. È chiaro che quei dati potevano essere a conoscenza solo di una persona “di famiglia”, allontanato dall’azienda per mala gestio». E di recente condannato dalla Cassazione a risarcire all’azienda oltre un milione di euro. «Mio padre Giulio (morto a Parigi nel 1988) era un pilota, collezionista di auto d’epoca e organizzatore di gare. Aver legato questa sua grande passione al malaffare, per noi è stato doloroso - puntualizza Giannandrea - Le sue auto storiche sono state soggette a manutenzione secondo le regole vigenti all’epoca, nient’altro. Ecco quello che abbiamo spiegato in una memoria presentata al magistrato». Tanta l’amarezza ma, «per fortuna, non ci è mai mancato l’appoggio di chi ci conosce e dei clienti».
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