Duecento decessi ogni anno per infezioni ospedaliere

Batteri sempre più resistenti agli antibiotici e difficili da debellare, i casi sono in aumento  Il professo Palù: «L’ospedale di Padova è a norma, la causa non sta nell’età delle strutture»  
BARON - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - MONOBLOCCO OSPEDALE
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IL DOSSIER

Sono duecento l’anno i casi di morte per infezioni batteriche contratte all’ospedale di Padova: un numero in aumento rispetto al passato, e che secondo le previsioni è destinato a crescere ulteriormente. Le statistiche parlano di numeri molto simili tra ospedali delle stesse dimensioni: duecento, più o meno, sono anche i casi riscontrati a Bologna e Firenze.

L’EVOLUZIONE

Perché il problema, dicono gli esperti, non sono tanto le strutture quanto i batteri stessi, che nel tempo sono diventati sempre più resistenti e difficili da debellare. L’ultimo caso, emerso in questi giorni, riguarda una ragazza di soli 28 anni, Claudia Zen. Nel sangue della giovane è stata rilevata la presenza di Stenotrophomonas maltophilia, un batterio che solitamente infesta ambienti umidi e che può trovare un habitat favorevole nell’acqua che si accumula in alcune strumentazioni ospedaliere. Questo in letteratura scientifica, perché ancora non è chiaro dove la ragazza abbia contratto il batterio.

LE STRUTTURE

«L’ospedale di Padova» spiega il professor Giorgio Palù, ordinario di Microbiologia e Virologia e presidente della Società Europea di Virologia «è perfettamente a norma ed in linea con le direttive europee. Per quanto alcune strutture siano più vetuste di altre, quindi, non direi che la causa delle infezioni si possa ricondurre a questo. Il problema è più generale: in Italia il numero di infezioni nosocomiali, cioè contratte in ospedale, è tra i più alti in Europa». E le cause sono molte. Per quanto riguarda Padova, «una di queste» dice Palù «si lega all’alto numero di pazienti trapiantati, perché vengono sottoposti a manovre invasive che portano germi, che poi circolano. E poi c’è il sovraffollamento del Pronto Soccorso: molte situazioni potrebbero essere gestite in periferia o addirittura dai medici di medicina generale».

L’ALLARME

E intanto circolano altri germi. Ma il vero allarme, decretato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, riguarda i batteri resistenti agli antibiotici: nel 2050 (prevede l’Oms) uccideranno più persone del cancro. Tra questi i più diffusi e letali sono: klebsiella pneumoniae, pseudomonas aeruginosa, acinetobacter e stenotrophomonas maltophilia, il batterio trovato nel sangue di Claudia Zen. A renderli così resistenti, in parte, siamo stati proprio noi, con l’uso improprio degli antibiotici: «soprattutto ai bambini» dice Palù «venivano dati subito, alla prima febbre. Ma la maggior parte delle volte la febbre è data da un virus e l’antibiotico non serve a nulla».

LE SOLUZIONI

Intanto l’industria degli antibiotici è quasi ferma e i batteri sono diventati più resistenti. La via suggerita da Palù sono, quindi, i vaccini. «Come virologi» conclude il professore «vigiliamo sui reparti dell’ospedale: verifichiamo eventuali infezioni, cerchiamo la fonte per isolare il paziente e segnaliamo l’antibiotico, se c’è con cui trattarla. Ma contro klebsiella, stafilococco, streptococco, pseudomonas e acinetobacter esistono vaccini che durano tutta la vita». —

Silvia Quaranta

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