«Ecco come la ’ndrangheta vuole mettere radici nel Padovano»

Al via il processo sul traffico di droga finanziato con false fatture. Tra gli imputati due bancari e la Popolare di Vicenza
FERRO - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - RIPRODUZIONE VIDEO DIA
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PADOVA. «Antonio Bartucca? Alla fine del 2014 quando è partita l’indagine, era un nome del tutto sconosciuto all’antimafia finché durante un’indagine della Dda di Trieste (Direzione distrettuale antimafia) un collaboratore di giustizia ha parlato delle ’ndrine friulane con propaggini in Veneto facendo dei nomi. Abbiamo cominciato a monitorare alcuni soggetti come Antonio Bartucca, titolare di una società edile individuale a Vigonza, e sono spuntati altri calabresi come Vincenzo Giglio, figlio del capo della cosca Strongoli, Salvatore Giglio».

Sipario alzato sul primo processo che ha aperto uno squarcio di luce negli affari sporchi in terra padovana di uomini legati alla ’ndrangheta. A parlare per ore davanti al tribunale di Padova, un ufficiale dei carabinieri in Servizio alla Dia (Direzione investigativa antimafia di Padova) che ha seguito in prima persona la delicata inchiesta coordinata dal pm padovano Benedetto Roberti. Inchiesta che, lungo l’asse Trieste-Verona passando per Padova, ha svelato affari e frequentazioni tra capi-cosca, accoliti e partner “commerciali” specializzati nella compravendita di droga da smerciare nel territorio, pagando le partite con soldi monetizzati (in nero) grazie alla complicità – almeno stando alle accuse – di due bancari.

Otto gli imputati, l’ultimo è Banca Popolare di Vicenza (Bpv), entrata nel processo come responsabile amministrativo e chiamata a rispondere «per aver omesso di vigilare... adottando un sistema organizzativo e di controllo idoneo a prevenire i reati contestati» con riferimento all’ex direttore della filiale vigontina di Bpv Federico Zambrini, 52enne di Piovene Rocchette, e al cassiere Roberto Longone, 48enne di Piove di Sacco, unici imputati presenti all’udienza oltre a Vincenzo Giglio , 30enne di Strongoli nel Crotonese (collegato dal carcere di Benevento).

Assenti altri coimputati come Lorenzo Ceoldo, 50 anni di Vigonza, Antonio Giardino, 52enne di Isola Capo Rizzuto (Crotone) con residenza a Verona, ritenuto a capo di un’organizzazione ’ndranghetista nel Veronese e altri due personaggi di minor peso.



I due bancari (con Ceoldo) sono accusati di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio; gli altri a vario titolo di traffico di droga ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. «Bartucca e il tuttofare Ceoldo si accompagnavano con Giglio e frequentavano il bar in centro a Vigonza per incontri. Poi andavano nel capannone, affittato da Bartucca in via del Lavoro 24 che, oltre a ricovero attrezzi, custodiva la droga» ha spiegato il maggiore, ripercorrendo le rischiose incursioni notturne stile film Usa per prelevare campioni di stupefacente e documentarne i quantitativi, salvo poi sequestrare tutto mettendo in scena un (finto) furto, quando quel tesoro di hashish, marijuana e cocaina era in procinto di essere trasferito. «Bartucca, ripeto sconosciuto fino al 2014 all’antimafia, andava in carcere a far visita al padre di Vincenzo Giglio, Salvatore Giglio capo della cosca Strongoli, prelevava la moglie per accompagnarla dal marito e frequentava anche la moglie di Giuseppe Fararo, un altro capo cosca in cella con Giglio insieme a Giuseppe Avignone, condannato all’ergastolo per la morte di due carabinieri» ha ricostruito l’ufficiale che ha osservato come il gruppo vigontino «stava mettendo radici in Veneto». Non a caso «l’intenzione di Salvatore Giglio, una volta uscito dal carcere, era di trasferirsi qui». Il maggiore ha proseguito: a maggio 2015 i primi riscontri sulle false fatturazioni e i contatti con i due bancari. Ecco il metodo Bartucca (uscito di scena con un giudizio abbreviato confermato in appello a 8 anni 8 anni, 6 mesi, 10 giorni di carcere in continuazione con una precedente condanna): «Venivano emesse fatture per operazioni inesistenti e i bonifici transitavano su carte prepagate intestate a ignari lavoratori romeni dipendenti di Bartucca... Le operazioni erano fatte con la compiacenza dei due bancari altrimenti l’istituto non avrebbe rilasciato le carte» ha continuato l’ufficiale, «Attraverso quelle provviste erano coperte le spese per l’attività d’impresa e per la droga... In agenda abbiamo trovato i codici per i prelievi negli Atm. Ma ci sono le intercettazioni telefoniche: un giorno Bartucca chiama il direttore Zambrini e chiede se sono arrivati i soldi. Il direttore risponde che non c’era nulla. Un paio d’ore più tardi è il direttore a chiamare Bartucca e a confermare “è arrivato tutto, puoi prelevare”». Si torna in aula il 23 giugno. —
 

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