Fa la tesi in laboratorio, contrae l’Hiv
Ha scoperto di essere sieropositiva per caso, solo perché era una donatrice di sangue. Dopo il prelievo per la donazione, il medico l’ha chiamata dandole la sentenza choc. Lei, una giovane donna avviata a una brillante carriera, nessun fattore di rischio che le sia riferibile, si è trovata all’improvviso catapultata in un mondo che mai avrebbe immaginato di dover conoscere. Con l’unica colpa, sostiene, di aver lavorato per alcuni mesi prima del prelievo dal quale è emersa la sua sieropositività in un laboratorio dove aveva manipolato pezzi del virus Hiv nell’ambito di un progetto per la tesi di laurea. E oggi, a distanza di sette anni, con in mano una perizia che dimostrerebbe che il virus che l’ha infettata è effettivamente quello del laboratorio, ha fatto causa a due università. Una è quella di Padova, dove la ragazza era iscritta, l’altra è una università straniera dove aveva frequentato l’Erasmus e il laboratorio “incriminato”. In ballo c’è la richiesta di un risarcimento milionario.
la storia
Quando ha scoperto la sua sieropositività, alla ragazza, allora studentessa, sono balzati subito alla mente gli esperimenti fatti nel laboratorio dell’ateneo straniero. Ma qualcosa non torna, come lei stessa racconta: «Mi erano stati fatti manipolare pezzi del virus ma erano virus che non potevano replicarsi, detti defettivi, non doveva esserci alcun rischio». I contraccolpi della scoperta della sieropositività non si fanno attendere: il fidanzato, con cui già faceva programmi per il futuro, la lascia. Lei si chiude in casa: allusioni, pregiudizi e il peso di uno stigma così lontano dal suo mondo la precipitano in una grave depressione. Ma lei trova il coraggio e la forza per reagire, con determinazione.
le indagini
La ragazza si rivolge a un medico: vuole giustizia e l’unico modo per averla è dimostrare che il contagio è avvenuto in laboratorio. Questa prima strada imboccata, però, non porta a nulla. Nessun riscontro. L’avvocato a cui si è affidata scrive all’ateneo straniero, la missiva scatena il panico. Ma ancora non succede nulla che sblocchi la situazione. La ragazza decide di cambiare legale e si affida all’avvocato Antonio Serpetti. Dai due atenei è sempre silenzio. Partono le prime diffide per l’apertura assicurativa dell’incidente. E iniziano le ricerche sul virus. È il laboratorio di Virologia dell’Università Tor Vergata di Roma a ricostruire la sequenza genetica del virus, che attesterebbe la sua provenienza dal laboratorio. La stessa Università di Padova avrebbe prodotto almeno due perizie per identificare il ceppo del virus, che esclude i laboratori padovani come fonte del contagio. Queste indagini hanno richiesto cinque anni. E così solo adesso la giovane donna e il suo avvocato hanno un’arma per combattere in tribunale.
l’anomalia
Un punto rimane ancora da chiarire ed è la chiave di volta di tutta la vicenda: non essendoci stato alcun incidente in laboratorio, come la rottura di un guanto o la puntura con un ago infetto, come si è trasmesso l’Hiv, dato che si trasmette solo attraverso il contatto con il sangue? In uno studio pubblicato nel 2017 sul caso viene considerata l’ipotesi di un contagio “via aerosol” che però non è mai stata dimostrata. —
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