Faggin: ora studio la coscienza

La nuova frontiera dell'inventore del microprocessore
Federico Faggin nel ’68 con il collega Tom Klein e oggi A sinistra il circuito integrato Fairchild 3708
Federico Faggin nel ’68 con il collega Tom Klein e oggi A sinistra il circuito integrato Fairchild 3708
Si può dire che il giornalista americano Don C. Hoefler è stato temepestivo: ha battezzato Silicon Valley quella che oggi è l'arcinota Silicon Valley nel 1971: proprio quando Federico Faggin metteva a punto, e sul mercato, l'Intel 4004, il cui cuore era il microprocessore al silicio. Faggin inventore pluricelebrato: ha ricevuto dalle mani di Barack Obama la medaglia al merito tecnologico, l'Europa l'ha premiato, ad Akron in Ohio nella hall of fame degli scienziati che hanno cambiato il mondo c'è il suo nome accanto a quelli di Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi. «Enrico Fermi? Dopo qualche anno appena che stava negli States parlava italiano con un fortissimo accento yankee». Faggin abita in California da 43 anni, e parla un italiano impeccabile («A casa, non abbiamo smesso di parlarlo», visto che sua moglie Elvia Sardei è vicentina), quando torna in patria si perde con i vecchi amici nel dialetto di Isola Vicentina, ma agli studenti di Ingegneria dell'Informazione corsi ad ascoltarlo racconta in inglese: sarà che ogni tre parole avrebbe comunque dovuto dire chip, transistor, computer e altre ex diavolerie nate californiane: molte da lui. Gli studenti riempiono l'aula magna, in altri duecentocinquanta seguono in streaming dalle aule vicine, e ascoltano la razionale storia di una vita che comincia con una delusione: perché, bambino, avrebbe voluto inventare la bicicletta e il telefono, ma li avevano già inventati. Ripiega sul più banale modellismo aereo, che diventa la sua vera scuola di vita, la via al progetto: «Comperavo la balsa, facevo il progetto, il modello, lo provavo, lo miglioravo». Poi ha sempre fatto così, in una girandola di intuizioni difficile da seguire per chi non è del ramo. Quando si è ignoranti, è più facile rimanere affascinati, peccato si resti ignoranti. Così noi ieri siamo rimasti affascinati da quelle inspiegabili intuizioni, talmente avanti che gli stessi americani della Silicon Valley non volevano convincersi, e sì che su quegli aggeggi ci lavoravano tutto il giorno. Qualcosa in più dei plotoni di ricercatori americani Federico Faggin doveva pur averlo, se a 19 anni, appena finito come perito industriale l'istituto Rossi di Vicenza, per farsi perdonare aveva messo assieme il primo computer italiano, per l'Olivetti. Per farsi perdonare: perché a suo padre Giuseppe, professore di gran spessore di filosofia e storia, quel suo figlio "tecnico" pareva una bestemmia: troppo anche per un laico.  Più che tecnico, fisico, visto che Federico si laurea in fisica a Padova nel 1965, magna cum laude. Da subito è assistente, «ma la carriera universitaria non era per me», e allora via al lavoro. Finché finisce in California, mandato dalla Fairchild italiana alla casa madre. «Era la Mecca, per quello che studiavo io». Da allora è un crescendo di sviluppo di sistemi in cui la parola magica è gate. Tutto ruota attorno a questo cancello: da lì si entra nel paese delle meraviglie del cuore del computer. Noi non siamo in grado di capire, figurarsi di spiegare, mentre Faggin mostrava le tappe di avvicinamento a quel colpo di genio che fu il 4004, il primo computer con il microchip, la strada aperta per una tecnologia che ha invaso il mondo. Tutti lavoravano con il silicio, là nella Silicon Valley: materiale amorfo e refrattario molto meglio di qualsiasi metallo, ma qual era l'architettura da inventare? Insomma Faggin ci riesce, risolve i problemi, adopera anche il fosforo come cleaner, battezza il sistema Sgt, Silicon Gate Tecnology, si danna l'anima, lavora 70-80 ore la settimana «like a dog». Nell'ottobre del '69 la scheda è pronta. Bisogna ricordarsi, per lo meno chi può farlo, cos'erano i (pochissimi) computer di quegli anni. Armadi, stanze intere riempite di scatoloni-calcolatori. Arriva Faggin e con il microchip, tecnologia a parte, i computer diventano un soprammobile.  Ad ingegneria il power point proietta il primo circuito commerciale: sembra un disegno di Escher. Poi la prima scheda più complessa: e questa volta sembra una piccola città, un piano urbanistico. Dentro lì ci sono problemi di logica e di connessioni, di contatti e di aree destinate a diverse funzioni. Un microcosmo nel microchip, e l'homo sapiens è lo stesso del fuoco e della clava, ma ha aggiunto un sapiens. Lo sforzo è tecnico, ma ne nasconde uno filosofico: se non la riproduzione del pensiero, una strada che corre parallela. A fine '69 il 4004 è un'idea diventata realtà. Ci vuole un anno perché arrivino tutti i componenti e poi vada sul mercato. Ma Faggin è un inventore planetario da un anno prima. E si è già buttato su qualcos'altro.  Altri processori, modelli più complessi e grandi. Altre intuizioni e altre esperienze, anche da solo: «no help». «Cambiare, rigenerarsi» è il suo motto ripetuto ieri. La sua testa non è fatta per rimanere sempre ferma su una cosa: cambia azienda, ne fonda di sue, in un turn over che ha due sole costanti: avere idee e lavorare sempre. Così passa da progettista a project leader, e poi a manager, e ancora a imprenditore, infine a Ceo. Ma senza smettere di avere idee. «Prendi un'idea e lanciala in aria», dice. Qualcosa succederà, qualcuno la coglie, altri la raffinano, tu la completi. La soddisfazione della ricerca «ti fa sentire un miracolato», anche se poi magari può andare non benissimo: ha anche ceduto aziende perché gli investitori non avevano pazienza.  Eppure le invenzioni non si sono limitate al microchip, quello è stato un punto di partenza. Però che partenza: oggi il 90 per cento dei circuiti integrati prodotti nel mondo usa la Silicon gate tecnology. Non si è fermato, Faggin: nel '98 ha messo a punto la tecnologia iPhone, quella per cui giri la pagina strisciando il dito. Troppo presto, nessuno l'ha voluta allora, e Steve Job l'ha ripresa con la Apple 10 anni dopo. Succede. Altri studi, sui circuiti neuronali, sui sensori delle immagini nelle fotocamere digitali. Una vita di idee, poi «nel 2008 mi sono ritirato dal business», ma non dal work. E come farebbe?  Ora Faggin ha creato una Fondazione - questa volta no profit - per gli studi sulla coscienza. Amore, odio, sentimenti, decisioni: come si forma tutto ciò? Non lo dice un facondo psicologo o un ispirato psichiatra. Lo dice uno che ha lavorato su calcoli, numeri, certezze logiche. Faggin sostiene che «la natura della realtà è molto più profonda e ricca di quanto conosciamo ora». E' sempre stato più avanti, fosse più cattivo ci sarebbe da averne paura. Ma sorride leggero, mostra la foto del suo "sogno americano": lui con la moglie, nel '67, davanti a un'auto lunga tre 500 Fiat. Tornare nella patria dei suoi vecchi? «No, in Italia è tutto troppo difficile». Da piccolo era scornato perché avevano già inventato tutto. «Dopo 40 anni di ricerca, ho cambiato idea: c'è troppo da inventare».

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