Falso e abuso d’ufficio nell’iter Il pm chiede l’archiviazione
due carrare
Le date corrette a mano, i verbali modificati più volte, le firme mancanti. Per Leonardo Antonio Cetera, ex amministratore di Deda, ci sono tante anomalie dietro la procedura con cui la Commissione regionale per il patrimonio culturale il 18 aprile del 2018 ha confermato l’istituzione del vincolo indiretto per un chilometro intorno al castello del Catajo proposta dalla soprintendenza al paesaggio, condannando a morte il progetto dello shopping center. Ma la denuncia presentata alla Procura di Venezia dall’imprenditore, tramite l’avvocato Luigi Ravagnan, nei confronti dei soprintendenti che hanno firmato quella decisione (falso ideologico e abuso d’ufficio le ipotesi di reato) si è scontrata con la richiesta di archiviazione proposta dal pm Giovanni Gasperini. Per il quale non c’è stato nessun falso. Il verbale della seduta della Commissione, che si era riunita nell’ultimo dei 120 giorni disponibili per un pronunciamento, non è stato redatto proprio quel giorno, ma questo non ha importanza, perché il verbale avrebbe mera valenza certificativa, ha sostenuto il pm. Così pure la posizione del soprintendente Fabrizio Magani che alla riunione avrebbe partecipato, ma sarebbe andato via in anticipo - prima dell’adozione del provvedimento conclusivo - e senza firmare niente. L’importante - ha fatto intendere il pm - è che alla riunione lui abbia partecipato, mentre Deda sostiene che la sua assenza dovesse essere verbalizzata. Anche sulle controdeduzioni della Deda (e della famiglia Dalla Francesca, che ha diritti sull’area in questione) e che dovevano essere esaminate quel giorno, Cetera vuol vederci chiaro perché, a suo dire, non erano pervenute né erano state protocollate. E tutta la documentazione relativa a quella riunione sarebbe stata corretta più volte, anche con date aggiunte a mano e a seguito di un fitto scambio di email fra le soprintendenze e tra i componenti della commissione. «Nei venti giorni successivi a quella riunione il tempo si era fermato, il numero di protocollo degli atti è sempre rimasto lo stesso e così anche la data del 18 aprile», ha denunciato l’imprenditore padovano. Convinto com’è, fin dal principio, che il provvedimento di vincolo sia stato disegnato proprio intorno ai suoi terreni. E che l’esito di quella iniziativa sia stato un «esproprio di stato», con il deprezzamento dei terreni da 21 milioni a 700 mila euro da cui poi è scaturito il fallimento della sua società.
Contro la richiesta di archiviazione proposta dal pm, l’avvocato di Cetera, Luigi Ravagnan, ha scelto di andare avanti e ha fatto opposizione. La decisione finale, a questo punto, spetta al Gip Marta Paccagnella che dovrebbe pronunciarsi mercoledì. —
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