Fenice, così nasce un allestimento

Pochi lo hanno visto, ma all’interno del Teatro La Fenice esiste da sempre un altro teatro che non è mai sotto le luci dei riflettori, ma brilla di luce propria. È quello parallelo dei lavoratori della Fenice, ogni giorno all’opera per trasformare uno spartito in una visione.
In occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi e Richard Wagner l’inaugurazione della Stagione Lirica 2012-2013 sarà doppia: venerdì 16 novembre alle 19 va in scena “Otello” del compositore italiano, firmata dal regista Francesco Micheli e, domenica 18 alle 15.30 “Tristano e Isotta” del musicista tedesco, a cura dello scozzese Paul Curran. Entrambe le opere saranno dirette dal Maestro Myung-Whun ed eseguite dall’Orchestra della Fenice composta da circa un centinaio di musicisti, più un coro di 85 persone inclusi 30 bambini per la tragedia shakesperiana e uno di 40 uomini per la seconda opera. Tecnici, costumisti e artigiani sono al lavoro sotto lo sguardo del direttore degli allestimenti scenici Massimo Checchetto.
Un cielo stellato sovrasta l’inquieto animo di Otello. La volta, stampata su diversi pannelli, è sospesa a una ventina di metri, l’altezza che si apre nel retroscena, un antro ricoperto di cavi neri e luci che percorrono il perimetro dell’intera struttura. In questo labirinto di fili la squadra dei 63 tecnici, capitanati da Massimiliano Ballarini e Vilmo Furian, si muove con destrezza spostando scenografie gigantesche e conoscendo a memoria gli elementi che formeranno la scena.
È nella loro testa e nelle loro mani che passano le opere prima che si apra il sipario, come si vede nel laboratorio degli otto artigiani, con a capo Roberto Fiori. Qui, protetti da uno dei reperti sopravvissuti all’incendio - un candelabro inserito in una bacheca a mo’ di portafortuna - il gruppo è intento a costruire bauli di atmosfere orientali e un narghilè. I lavoratori si muovono come all’unisono come i musicisti dell’orchestra e veloci «come i tecnici che cambiano le ruote della Ferrari». È il paragone che usa Paola Milani, responsabile della calzoleria, duecento scarpe da sistemare solo per l’opera “Otello”. Qui, tra decine di forme di legno, spunta un quadretto con una poesia dedicata “Al vecio calegher” che si conclude con una strofa significativa «artigiani co onor, ne lavoro demo el cor».
È la passione a spingerli: fanno le ore piccole pur di assicurarsi che ogni particolare sia al posto giusto. Lo stesso per il personale della sartoria. L’argentino Carlos Tieppo, ha in serbo una vera sfida, degna dei migliori sarti: l’abito per Isotta, plissettato come soltanto Mariano Fortuny sapeva fare. Quando le luci calano, solo uno può parlare. È Lorenzo Zanoni, responsabile della chiamata in scena degli attori. Il resto tace. Dietro le quinte un cartello ammonisce: «Silenzio. Il teatro è una cosa seria».
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