Fiamma Trinchieri, staffetta partigiana, compie cent’anni

Padovana, ha festeggiato con tutta la famiglia: figli, nipoti e pronipoti. il suo segreto di longevità: «Ho sempre cercato di essere autonoma, curiosa e felice della vita»

Al centro Fiamma Trinchieri festeggiata per i cento anni
Al centro Fiamma Trinchieri festeggiata per i cento anni

 

A festeggiarla c’era la famiglia al completo: i figli, i sette nipoti e i tre pronipoti. «Non avrei mai pensato di arrivare a cent’anni - ha sorriso - ma adesso è bello, è sono felice di passare questo giorno con tutti i miei cari».

Venerdì 22 agosto Fiamma Trinchieri ha compiuto 100 anni, portati splendidamente. Una vita ricca e intensa: insegnante, impiegata comunale, in gioventù staffetta partigiana.

Nel pomeriggio l’assessora Francesca Benciolini le ha fatto visita per portarle gli auguri di tutta l’amministrazione con un mazzo di fiori.

Fiamma Trinchieri è nata a Padova il 22 agosto del 1925. Diplomata alle magistrali, prima di iniziare la carriera di insegnante elementare a Brugine e a Padova, nel 1946 ha lavorato come impiegata nel Comune di Padova. «Fino a qualche anno fa tante persone mi fermavano per strada per salutarmi: ex alunni mi ricordavano con affetto e mi abbracciavano» ha raccontato commossa.

Sposata con Giuseppe Sabia ha avuto quattro figli ed è rimasta vedova nel 1967.

Fino all’anno scorso testardamente ha voluto vivere da sola. Una brutta caduta mentre preparava il brodo in cucina, l’ha convinta a trasferirsi dalla figlia Elisabetta. «Purtroppo ora mi muovo con il deambulatore, mi sento più lenta e limitata» ha detto. «Tanti mi chiedono qual è il segreto di una terza età così speciale. Rispondo sempre che sta tutto nella testa, nella voglia di essere autonomi, curiosi e appassionati della vita»

Lucidissima nei suoi racconti, passa le giornate tra la lettura dei giornali e dei libri e allena la mente con le parole crociate.

Negli ultimi anni della guerra ha collaborato con la Resistenza a Padova: ha rischiato la vita portando di nascosto le medicine ai dottori che curavano clandestinamente i partigiani. Le riceveva dall’allora parroco della chiesa di San Nicolò.

«Non ho fatto nulla di speciale –ha concluso – ma solo quello che mi diceva la coscienza».

 

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