Figlio del boss, affari sporchi a Legnaro

Vincenzo Giglio gestiva sedi fantasma e società riguardanti edilizia, pane e security. Strategie decise al Due Palazzi
Un groviglio di società con sedi principali in tutta Italia e sedi operative in provincia di Padova. Un groviglio anche di nomi che si intrecciano in questi affari sporchi di ’ndrangheta. Vincenzo Giglio, figlio del boss Salvatore Giglio detenuto al carcere Due Palazzi di Padova, a 26 anni è già socio di tre aziende: la Europe Truck Service, la Giglio Autotrasporti e la Vittoria Srl. E chi sono i soci in quest’ultima azienda? Antonio Bartucca (al 50%) e Lorenzo Ceoldo (al 10%) di Vigonza, il primo arrestato l’altro giorno nel blitz con i 169 arresti della Dda di Catanzaro, il secondo finito nei guai l’anno scorso per un traffico di droga. Per Vincenzo Giglio un bel 40%. La Vittoria Srl ha la sede principale a Milano in corso Buenos Aires e la sede operativa a Legnaro in via Volta 21. Allo stesso indirizzo risulta anche la sede operativa di un’altra azienda, la Company Construction Srl, sempre riconducibile a Bartucca. Capitali sociali da 10 mila euro, sedi pressoché fantasma e i nomi che si ripetono sempre: Giglio, Bartucca, Ceoldo.


Del resto, nel colloquio in carcere del 18 dicembre 2014 gli intenti del gruppo criminale individuato dal carabinieri del Ros sono ben chiari. Il boss Salvatore Giglio, detenuto, parla con la moglie Carmela Roberta Putrino, con il figlio Vincenzo e con Antonio Bartucca. È a quest’ultimo che Giglio si rivolge per investire in nuove attività commerciali, come quelle della panificazione. La stessa Putrino tranquillizza il marito, facendogli capire che Bartucca, il figlio Vincenzo e un altro soggetto (Ceoldo) hanno già intrapreso nelle zone del padovano una nuova attività imprenditoriale nell’ambito della security nei locali della zona:
«Si sono fatti l’ufficio qua a Padova».
Sul business del pane:
«Con farina e acqua si fanno i soldi»
ammette Bartucca, che poi si impegna a trovare qualche forno da comprare.


Altro spaccato inquietante circa la presenza a Padova degli affiliati alle cosche è proprio quello che riguarda il carcere Due Palazzi, dove il boss Giglio riusciva a comunicare con l’altro capoclan Giuseppe Farao approfittando dei colloqui con i familiari. Colloqui che, guarda caso, avvenivano sempre in contemporanea. Salvatore Giglio decideva così le strategie ‘ndranghetistiche del territorio stongolese. Condannato a 16 anni di reclusione per associazione a delinquere ed estorsioni aggravate dal metodo mafioso, è rimasto al Due Palazzi dal 16 novembre 2010 al 23 settembre 2016. Durante tutto questo periodo la moglie assume la reggenza dell’omonima famiglia ‘ndranghetistica. Diversi sono i dialoghi, captati in carcere, nei quali la donna riferisce al marito novità e “ambasciate” provenienti dall’esterno, decidendo insieme la politica criminale del territorio strongolese. Considerato un detenuto modello, Giglio ha beneficiato anche di colloqui-premio in virtù della sua condotta ineccepibile. È in queste occasioni che gli investigatori hanno intercettato la loro soddisfazione circa le radici messe in Veneto e soprattutto nella provincia di Padova:
«Qua c’è il ben di Dio...».
Oppure:
«Padova è nostra».


Il delirio di onnipotenza è tale che Vincenzo dice al padre di volere una Ferrari. Suggerisce poi sempre al padre di prendere subito una macchina di grossa cilindrata e una giacca a doppio petto per quando uscirà di galera. “L’esaltazione del senso di grandezza del padre” interpretano gli investigatori che grazie alle intercettazioni ambientali hanno avuto modo di conoscere bene questa famiglia e tutte le sue ramificazioni.


Come quando sempre Salvatore, parlando quasi in codice, dice alla moglie:
«Dicci ad Antonio, Robè, che ci manda il lupo … che mò ci deve dare qualcosa … per il fatto che … ce l’ha mandato al giostraio là … per il fatto della gru …. hai capito
?». Quindi Bartucca deve mandare il “lupo” dal “giostraio”, figura probabilmente della malavita locale padovana.


Quanto alla territorialità, al senso della “zona” ribadito più volte da questi esponenti del clan calabrese, è emblematico il dialogo tra Salvatore Giglio e il “collega” Farao:
«Digli che quando vengono a Padova si devono comportare bene. Anzi, se non ci vengono proprio a Padova è meglio».
E Farao risponde:
«Che sennò… i nostri...»
come a fare intendere che su Padova non vogliono altri oltre a quelli che già ci sono come il figlio di Salvatore.


e.ferro@mattinopadova.it


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