Finto morto davanti al Bo I vigili fermano lo “spot”

Mamme scandalizzate dalla “pubblicità” di tre studentesse in Comunicazione Un manichino sotto il lenzuolo per la Giornata della donazione di sangue
Di Valentina Voi

Una mamma passeggia sul listòn con il suo bambino. Arrivata all'altezza del Bo vede una sagoma a terra coperta da un telo bianco sporco di sangue.

Dopo lo spavento iniziale cerca di proteggere il bambino dalla violenza della scena. Ma dopo pochi secondi la paura cede il passo allo sgomento. É tutto finto, forse una burla o magari una trovata pubblicitaria, di certo un gesto di pessimo gusto. E va dritta dal vigile.

Guerrilla marketing. La pubblicità che esce dagli schemi e scende in strada ha un nome: guerrilla marketing. È una tecnica comunicativa studiata nelle Università di tutto il mondo, anche a Padova.

Il cadavere apparso ieri mattina sul listòn è proprio uno di questi casi. L'evento è stato creato da un trio di studentesse di Comunicazione per il corso di Promozione di immagine. È il loro esame: più se ne parla, più funziona. Un passaggio mediatico può valere la lode. Questo particolare tipo di tecnica pubblicitariasi basa su una serie di principi: in primo luogo deve essere non convenzionale, rompere gli schemi. Inoltre non deve costare troppo: bando a mega-installazioni o costose affissioni. Ma soprattutto deve mixare creatività ed aggressività, stando attenti a dosare.

Donare il sangue. Visto dalla prospettiva delle studentesse che l'hanno ideato, il progetto non faceva una piega. «Il 14 giugno c'è la giornata nazionale del donatore di sangue e il nostro professore, Vittorio Montieri, aveva chiesto di partecipare ad un concorso promosso da Pubblicità Progresso e di portarlo come esempio al suo esame» spiega Alice Pomiato, futura pubblicitaria, «Ho elaborato un progetto insieme alle mie compagne di corso Chiara e Irene. Abbiamo puntato su un'azione strong prendendo un manichino e stendendo un telo bianco sopra». E il sangue? «Era ketchup. Una volta che il passante si era avvicinato lo poteva vedere e con un cartello invitavamo tutti a fare la loro parte, donando il sangue per aiutare quell'uomo».

Intervengono i vigili. L'azione del trio di studentesse procede spedita dalle 9 fino alle 11. In tanti si fermano incuriositi a guardare: alcuni borbottano; molti si fanno una risata. Finché non si avvicinano le divise. Sono gli agenti di Polizia municipale che spiegano alle ragazze che è meglio desistere. «Ci hanno chiesto i nostri nominativi» continua Alice, «e ci hanno detto che alcune mamme si erano lamentate. Potevamo stare quanto volevamo, ma se qualcuno avesse sporto denuncia la responsabilità sarebbe stata nostra. E così siamo andare via». Il materiale per l'esame era abbondante. «Non ci aspettavamo tutto questo clamore» commentano «ci sono arrivate critiche, ma anche tanti complimenti. E se qualche bambino si è spaventato, la madre poteva alzare il telo facendogli vedere che era tutto finto».

I commenti. «Va bene sensibilizzare l'opinione pubblica ma mi sembrano strumenti un po' eccessivi» commenta l'assessore Marco Carrai, «soprattutto perché possono urtare la sensibilità dei più piccoli. Non occorre creare lo scandalo a tutti costi». È di diverso avviso il professor Montieri: «Padova come città universitaria è un po' un laboratorio per questo tipo di comunicazione in cui bisogna alzare l'asticella delle emozioni. Ma se lo fa Maurizio Cattelan è arte, se lo fanno le studentesse offendono la sensibilità. La reazione è stata più eccessiva dell'iniziativa».

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