I colori della solitudine e il lato privato di Miró

Quasi 250 opere, tra grandi dipinti, sculture, disegni, schizzi e progetti dell’artista, raccontano l’ultimo, straordinario periodo creativo di Joan Miró, vale a dire i 30 anni trascorsi a Palma di Maiorca e nel suo atelier, paragonato dal grande artista spagnolo a una “culla” o a una “caverna”.
L’allestimento della grande mostra è in corso - vernice il 17 ottobre, si potrà visitare fino al 3 aprile a Villa Manin di Passariano (Udine) - con i preziosi materiali provenienti dalla Fundació Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca e dalle collezioni degli eredi, affiancati da documenti originali e tanti oggetti personali dell’artista, nonché da una cinquantina di scatti realizzati dai maggiori fotografi del tempo: Bresson, Mulas, Brassai, List, Man Ray, Halsmann, Gomis e tanti altri.
Con il titolo “Joan Miró a Villa Manin. Soli di notte”, la rassegna ha l’obiettivo di illustrare una fase del percorso artistico di Miró non ancora perfettamente indagata, eppure di indubbia rilevanza, in quanto vede il maestro catalano in profondo dialogo con se stesso, alla ricerca di un rinnovamento creativo di contenuti e di forme. I curatori Elvira Camara Lopez e Marco Minuz hanno dunque selezionato le opere e la documentazione anche per ideare una rassegna altamente evocativa dei luoghi, degli ambienti, dei suoni, delle emozioni che hanno accompagnato Miró nel buen retiro della meravigliosa isola delle Baleari, in cui, dal 1956 al 1983 (anno della morte), ha saputo dar vita a un radicale mutamento espressivo e tecnico. Soprattutto grazie ai due atelier che ha fatto realizzare, l’artista riesce a isolarsi e intraprendere così un processo di profonda analisi critica del lavoro precedente e di trasformazione.
Nella luce di Palma di Maiorca (che frequentava fin dall’infanzia e dove si era rifugiato dal ’40 al ’42, la pittura di Miró si fa più essenziale, rinunciando ai cromatismi per lasciare spazio al segno immediato e violento, alla progressiva semplificazione del gesto espressivo e al nero, drammatico e definitivo, che testimonia la ricerca dell’artista intorno ai temi del silenzio e del vuoto. Per Miró non era stata causale, del resto la scelta di Palma di Maiorca. A Maiorca era nata sua madre e il pittore di Barcellona fin da piccolo trascorreva dai parenti le vacanze estive; qui aveva conosciuto Pilar, divenuta sua moglie nel 1929. Ne nasce una produzione ben diversa dalle opere del periodo surrealista degli anni ’30, come testimonia emblematicamente “Oiseaux dans un Paysage” del 1974, il dipinto-icona della mostra di Villa Manin, proveniente da una collezione privata di Palma di Maiorca ed esposto in Italia solo all’inizio degli anni ’80.
Ecco quindi le nuove sperimentazioni: messo da parte il cavalletto, Miró inizia a lavorare prevalentemente a terra. Può camminare o sdraiarsi liberamente sul quadro, lasciare che il colore fresco in eccesso coli sulla tela, mentre utilizza per i fondi delle opere (se policromi) la stessa trementina usata per pulire i pennelli.
Macchie, spruzzi, sgocciolature casuali dalle quali l’artista procede a tracciare segni violenti e dinamici, con i personaggi che scaturiscono dallo sfondo, delineati sempre da linee nere molto forti.
A Villa Manin è stata ricostruita per l’occasione la “stanza rossa”, una sorta di studiolo rinascimentale privatissimo e mai aperto al pubblico, ricavato all’interno di Son Boter, l’atelier più grande e realizzato in un palazzo seicentesco, destinato alla realizzazione delle sculture monumentali. Qui e nel salone centrale della villa, i visitatori saranno accompagnati dalle musiche di Teho Teardo, che è andato nello studio di Miró a Palma de Maiorca per registrare alcuni brani in cui ha utilizzato ocarine, percussioni e altri oggetti quali pennelli, vasi di colore, spatole, coltelli appartenuti al genio catalano Miró.
Le musiche sono anche legate ai video di Michele Baggio che documentano lo studio del grande pittore spagnolo.
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