I DIARI SULLA P2 Il lucido sgomento di Tina Anselmi
Presidente della Commissione d'inchiesta, la senatrice rimase annichilita da quanto scopriva. E prese appunti

In alto Licio Gelli capo della P2 Qui a sinistra l’ex senatrice Tina Anselmi
«Con la P2 avevamo l'Italia in mano. Con noi c'era l'Esercito, la Guardia di Finanza, la Polizia, tutte nettamente comandate da appartenenti alla Loggia». Basterebbe prendere sul serio le parole pronunciate due anni fa in una intervista da Licio Gelli, per dire che Tina Anselmi aveva ragione. Perché in fondo questo è quello che di cui drammaticamente Tina Anselmi si è accorta, quando ha cominciato a ricoprire la carica di Presidente della Commissione parlamentare chiamata ad indagare sulla P2. A distanza di trent'anni dalla scoperta degli elenchi degli iscritti alla Loggia segreta, la pubblicazione degli oltre settecento appunti presi da Tina Anselmi durante i mesi di audizioni ricostruisce, sia pur per frammenti, quella che rimane una storia in parte irrisolta. La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi, a cura di Anna Vinci (Chiarelettere, pag. 576, 16 euro) è un libro inquietante. Un po' perché, anche se Tina Anselmi non poteva saperlo mentre annotava le sue riflessioni, gli incroci tra quella storia e altre storie hanno continuato a inquinare la vita pubblica italiana. Un po'perché alcuni personaggi tornano ancora oggi in gioco in indagini giudiziarie, per esempio Flavio Carboni oppure Luigi Bisignani, personaggi che comparivano allora, ricompaiono ai tempi di "mani pulite", ritornano in questi mesi, come perni di affari poco chiari, di reti di conoscenze ambigue. Rileggendo questi appunti, presi allora, mai più rivisti, è come vedere un film che riavvolge, ma anche si svolge, perché si percepisce che aldilà dello scandalo qualcosa è rimasto, e qualche volta viene da pensare che molto è rimasto. Alcuni nomi ci sono ancora. Tina Anselmi appunta per esempio la testimonianza di un balbettante Fabrizio Cicchitto, che dichiara di essersi iscritto alla Loggia perché attraversava un momento difficile. Ma aldilà dei nomi sembrano tornare, o meglio essere restati immutati, i modi di fare politica, i modelli ricattatori, gli intrecci inverosimili. In questi appunti compare tutto: da Pecorelli a Calvi, da Sindona al golpe Borghese, ma anche Moro, Bisaglia e poi i rapporti tra politica e mafia, la lotta a coltello per il controllo dei mass media, Corriere della Sera in testa. E' una unica grande rete, che sembra avviluppare tutto, ed autentico è lo sgomento di Tina Anselmi nello scoprirlo. E questo sgomento è il motivo per cui questo libro è confortante. Non è un diario, non è una ricostruzione, semplicemente Tina Anselmi ha affidato ad Anna Vinci gli appunti presi allora, dicendole di pubblicarli, prima che arrivasse una P3, una P4. Forse è arrivata troppo tardi, ma la lezione è importante lo stesso. Tina Anselmi, quando nel 1981 divenne presidente della Commissione, non era una politica alle prime armi, non era una ingenua, non era una sognatrice. Era già stata ministro, era uno dei leader della Democrazia Cristiana, era abituata agli intrighi, ai colpi bassi, eppure quello che scopre la annichilisce. Perché si accorge che esisteva una politica parallela a quella che lei aveva praticato. Si fa delle domande: Perché i socialisti sono così preoccupati? Com'è possibile che Andreotti, Piccoli, Berlinguer non ne sapessero niente? Perché i comunisti esitano? Domande politiche ma non solo, perché presto arrivano le pressioni, le minacce, i tentativi di delegittimazione, che piovono da tutte le parti, anche da esponenti del Vaticano. Tina Anselmi capisce allora che è per questo che Nilde Iotti ha indicato lei, prendendo tutti in contropiede. Serviva una persona solida, onesta, serena. E Tina Anselmi in questi foglietti è tutto questo. Annota quello che dicono i testimoni senza mai lasciarsi andare a commenti sgradevoli. Il massimo della sua indignazione è riservato a qualche collega di partito, la cui testimonianza è accompagnata, tra parentesi, dal commento: bugiardo. Per il resto non una parola di disprezzo, nessun giudizio sulle persone, nessuna condanna politica per gli avversari: quando il comportamento di qualche membro della commissione le sembra strano, si limita a registrare la sua perplessità, senza mai abbandonarsi a dietrologie. E quando arrivano gli avvertimenti in stile mafioso registra anche quelli, a futura memoria. Accetta i suggerimenti di tutti, anche quello di D'Alema padre di andare a sentire un giudice di Palermo, allora poco noto, Giovanni Falcone, ma sta bene attenta a non trasformare la commissione d'inchiesta in un gran calderone che affronti tutti i misteri italiani, perché capisce che questo sarebbe il modo per affossare i lavori, come molti sembrano volere, in parlamento e fuori. Da questo punto di vista il libro è quasi una lezione di educazione civica, perché mostra al lavoro un politico vero. Perché Tina Anselmi è dura e determinata, conosce i meandri della politica ma è capace di scandalizzarsi, ha una disciplina morale che la porta a rispettare tutti, ma a servire solo lo Stato.
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