I primi padovani hanno messo radici proprio all’ombra del Monte Lozzo

francesco jori
Il primato è quasi certo, e non è da poco: i primi padovani in assoluto della storia (anzi, della preistoria) hanno piantato le loro tende proprio qui. In epoca remotissima, oltretutto: è nei dintorni dell’odierna Lozzo, nelle località Pegorile e Misereo, che ancora agli inizi del Novecento sono state trovate tracce di grandi focolari; mentre oggetti fittili, di selce e di bronzo sono venuti alla luce a Malandrina e nella val Calaona. Chi voglia dare un’occhiata alle proprie origini, oggi può farlo con una visita al Museo Atestino di Este, dove sono esposti questi reperti.
Si trattava probabilmente di tribù seminomadi, progressivamente assorbite dai nuovi arrivati, gli Euganei; a loro volta soppiantati sei-sette secoli dopo dai paleoveneti, che introdussero la cultura del ferro e si specializzarono nella ceramica, mettendo così le basi della civiltà atestina.
Il luogo d’altra parte è decisamente invitante: l’abitato si stende alla base del monte Lozzo, ed è nettamente isolato rispetto al contesto collinare euganeo, da cui lo separa una valle ampia quanto basta per consentire un insediamento tranquillo. Se ne rendono ben conto i romani, quando arrivano nel Padovano: si danno da fare per disciplinare le acque, incentivano l’agricoltura, sviluppano i commerci; e forse da loro deriva il nome stesso dell’abitato, “lucus”, vale a dire bosco sacro (all’epoca il colle è interamente ricoperto da una fitta foresta). Quando l’impero si sfalda, il territorio conosce un progressivo degrado; e la situazione non migliora neppure quando passa sotto l’egida del Comune di Padova prima, e dei Carraresi poi; anzi, soprattutto nella prima metà del Trecento è devastato dai continui scontri tra padovani e veronesi. In questo contesto geopolitico spicca peraltro una curiosità plurisecolare: dal Duecento la chiesa parrocchiale intitolata ai santi Leonzio e Carpoforo figura sotto la giurisdizione della diocesi di Vicenza; e vi rimane fino al 1818, quando passa sotto quella di Padova.
Sempre nel Duecento, per la precisione nell’anno di grazia 1228, viene costruito un castello in località Valbona, con mura spesse più di un metro e alte 11, due porte, sei torri, camminamento di ronda e fossato con ponte levatoio; all’interno ospita le scuderie, un magazzino, l’armeria e un’officina; di stanza viene collocato un posto di guardia permanente, considerando la posizione strategica della fortezza, come si può intuire ancor oggi, posto com’è all’incrocio tra il Padovano, il Vicentino e il Veronese. La fortezza passa nel 1318 ai Carraresi, l’anno stesso in cui sono proclamati signori di Padova. Poi subentra la Serenissima, che lo tiene per un secolo.
Il presidio si conquista una piccola pagina di cronaca, più che di storia, durante la guerra della Lega di Cambrai contro i veneziani, quando uno sconosciuto tizio veronese, tale Cucchin, se ne impadronisce sostenendo di essere stato autorizzato niente meno dal re di Francia. Difficile, a quell’epoca e in quelle circostanze, fare riscontri: l’occupante vi rimane a lungo con la sua guarnigione.
Nel 1513, con i conti pubblici falcidiati dagli eventi bellici, Venezia fa cassa vendendo il castello ai nobili Lando, dai quali passerà poi prima ai Correr, quindi ai Barbarigo e infine agli Albrizzi. Anche il capoluogo risulta peraltro aver disposto di un castello, di ancor più antica data: forse addirittura il 983, quando l’imperatore Ottone I concede il territorio di Lozzo in feudo al conte Inghelfredo dei Maltraversi. Di sicuro c’è una fortezza nel 1229: la prova è che Ezzelino da Romano la distrugge. Viene ricostruita, e nuovamente fatta a pezzi nel 1313. —
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