Il cinema e il teatro piangono Gabriele Ferzetti

ROMA. È stato un giovane seduttore, un quarantenne problematico, un affascinante signore sulla scena e sullo schermo, uno uomo appartato e schietto, un raffinato osservatore dei tempi. È stato Gabriele Ferzetti, l’interprete a cui il nostro teatro e il nostro cinema migliore devono molto. Nato a Roma il 17 marzo 1925, è morto ieri sera. Di buona famiglia ed educazione impeccabile, ben presto divorato dalla passione per la recitazione, approda al cinema che ha appena 17 anni: nel 1942, “La contessa di Castiglione” di Flavio Calzavara. A guerra finita si costruisce con maniacale professionalità una spina dorsale da uomo di teatro e Luchino Visconti lo sceglie, nel 1948, per “Come vi piace”. Il suo primo ruolo da protagonista in teatro è del 1951 con Olga Villi in “Sogno ad occhi aperti” di Rice; la prima grande affermazione sullo schermo la deve a Mario Soldati che lo mette insieme a Gina Lollobrigida in “La provinciale” del 1953. Un incontro folgorante con Michelangelo Antonioni che» ne fa l'emblema di una condizione maschile sospesa nell'incertezza. Gli da gloria Elio Petri in “A ciascuno il suo”. Saranno più di cento i suoi film, al set alterna il teatro. La duttilità d'interprete lo vede pienamente a suo agio in drammoni storici, commedie scanzonate, film d’avventura e drammi passionali. Sergio Leone disegna con lui il memorabile affarista cinico di “C'era una volta il West”.
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