Il diritto alla vita in Africa grazie ai volontari Cuamm

di ERNESTO MILANESI
Un vagito in Africa non equivale mai al diritto alla sopravvivenza. Neonato e puerpera del Continente Nero rischiano - perfino nel XXI secolo globalizzato - quel che il dottor Semmelweis aveva debellato, nel Vecchio Continente, già nell’Ottocento.
Ecco perché resta indispensabile il bene ostinato (come lo ha definito Paolo Rumiz nel suo diario africano) dei volontari della più «potente» ong italiana, quella che da 60 anni si prende cura della salute (e quindi del futuro) dell’Africa. Cuamm è l’acronimo dei «vecchi» missionari, diventati Medici con l’Africa. Nel collegio di via san Francesco a Padova ha studiato Ippocrate, Vesalio, Morgagni e Falloppio il «medico a piedi scalzi» Theophilus Ochang Lotti che ha attraversato gli orrori della guerra per diventare ministro con la delega alla salute in Sud Sudan e tornare al Bo 27 anni dopo il suo papiro di laurea.
A Wolisso, nella regione dell’Oromia in Etiopia, dal 1986 operano i volontari dell’ong padovana. Dieci anni dopo hanno letteralmente costruito dal nulla l’ospedale che garantisce a tutti il diritto alla salute. E nonostante qualche maldestro tentativo di «scippo», Wolisso rappresenta l’emblema del Cuamm che ora rilancia la campagna del parto sicuro anche in altre tre strutture (Aber in Uganda, Chiulo in Angola e Tosamaganga in Tanzania).
Dopo la festa di compleanno con il presidente Giorgio Napolitano, si torna al lavoro «dal basso» con la semplice predisposizione agli ultimi del pianeta, fedeli allo spirito del Concilio o anche all’umana coscienza degli squilibri insopportabili del «mondo a una dimensione».
E’ ciò che ha spinto un’intera famiglia padovana a «traslocare» proprio a Wolisso. Matteo Capuzzo , 33 anni, con Chiara Conti, 32 anni, e i loro figli Gregorio, 4 anni, e Geremia di appena undici mesi sono i migliori testimoni di tutti coloro che supportano Cuamm Medici con l’Africa. «E’ stato il senso di giustizia universale, di equità, la spinta a conoscere realtà che avevamo letto solo sui libri che inizialmente ci ha fatto preparare i bagagli. La sete di conoscenza e di realizzare che si può fare qualcosa per gli ultimi ci ha fatto proseguire anche insieme ai nostri bambini, come famiglia. Proprio la nascita dei nostri figli in Italia ci ha fatto riflettere sul privilegio che avevamo come europei ad un’assistenza sanitaria che appare scontata. La spinta allora è stata più forte ancora. Entrambe le gravidanze le abbiamo affrontate in Africa e ogni volta rientrare per il parto è stato sconvolgente, alla luce dei mesi in cui abbiamo visto donne in villaggi sperduti non avere accesso nemmeno a guanti sterili o ad un’ostetrica. Oggi a Wolisso possiamo vedere realizzarsi progetti che donano alle donne sicurezza e speranza. Ogni volta che abbiamo notizia di un nuovo nato, magari prematuro, che riesce ad affacciarsi alla vita, è come se la famiglia si allargasse» raccontano da Wolisso.
E’ così che rimbalza la storia di Salaam, 27 anni con un sorriso ampio dai denti bianchissimi. E’ la seconda di sei figli, tutti diplomati: lavora al St. Luke Hospital prima come assistente della farmacia e poi responsabile del magazzino. Grazie allo staff Cuamm, impara anche l’informatica ad Addis Abeba e diventa una statistica. Dice di aver ricevuto molte offerte di lavoro anche dal governo, ma rimane a lavorare al St. Luke anche se lo stipendio è più basso: «E’ la libertà che conta: qui puoi parlare con il tuo capo, non hai pressioni. Mi sento libera e rispettata». Per lei, ora potrebbero schiudersi le porte degli Usa.
Salaam, Cuamm...
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