Il “Disgelo” di gennaio che rivoluzionò la poetica di Monet

di MARCO GOLDIN
Nel mese di ottobre del 1878, Madame Veuve Elliot, senza preoccuparsi troppo delle voci che circolavano a Parigi e dintorni sui debiti che Claude Monet non riusciva a onorare, affitta al pittore una casa all’uscita nord-ovest di Vétheuil, lungo la Senna, sulla strada che conduce a La Roche-Guyon. L’affitto è di 600 franchi all’anno, assai inferiore ai prezzi parigini, ed è rimborsabile in quattro rate annuali. Monet è reduce dagli anni trascorsi ad Argenteuil, il villaggio a nord di Parigi che è stato culla dell’impressionismo. Dalle finestre al primo piano della sua nuova casa, la vista si estende planante sulla Senna e da un altro lato su un frutteto che fa parte della proprietà presa in affitto.
Anche gli anni di Vétheuil, più brevi rispetto a quelli trascorsi ad Argenteuil, sono difficili, con la ricerca continua di sfuggire a una latente condizione se non di miseria di notevoli difficoltà economiche. I compratori sono ancora molto pochi e Monet molto spesso dipende per il sostegno suo e della famiglia da Caillebotte, l’amico pittore, il quale per esempio nel luglio del 1879 gli anticipa 1700 franchi. In questa situazione di estrema complessità e spesso di privazione, viene aggravandosi la malattia della moglie Camille, che solo l’anno precedente aveva dato alla luce il secondo figlio. Dopo cinque giorni di grandi sofferenze (“Era straziante vedere i tristi addii che rivolgeva ai suoi bambini” scriverà Alice Hoschedé, che diventerà poi la seconda moglie di Claude Monet), Camille la mattina del 5 settembre si spegne. E il pittore ci lascia quel suo quadro, di una bellezza segreta, che ritrae la giovane moglie sul letto di morte, in un velo viola come fosse un volo di lavanda.
Ma è a Vétheuil, soltanto pochi mesi dopo, che accade qualcosa di fondamentale per la storia della pittura e anche per la storia di questa mostra. Nel tempo in cui il rapporto tra Monet e Alice si fa sempre più intimo e ovviamente sempre più difficoltoso quello tra Alice e il marito Ernest, tra l’altro uno tra i pochi acquirenti delle opere dello stesso Monet. L’inverno si annuncia rigidissimo, con nevicate e gelate fuori della norma. I giornali parlano di condizioni climatiche come non si ricordavano da tempo immemorabile, la Senna trasporta con la sua corrente enormi pezzi di ghiaccio, fino a che, per la temperatura che scende anche a 25 gradi sottozero, il fiume è un’unica lastra di ghiaccio. Ma negli ultimi giorni del 1879 la temperatura inaspettatamente si rialza. “Abbiamo un disgelo terribile, c’è una massa enorme di neve che scende dall’alto delle colline” annota Alice il 29 dicembre. Ma il vero disgelo verrà di lì a poco, nella notte fra il 4 e il 5 gennaio, proprio nel giorno in cui scrivo questa prima storia, 136 anni dopo. Ed è per tale ragione che ho scelto di cominciare questi racconti con questo quadro.
Ricorda Alice Hoschedé: “Lunedì alle 5 del mattino mi sono svegliata per un rumore terribile che assomigliava allo scoppiare di un tuono; qualche minuto dopo ho sentito Madeleine bussare alle finestre di Monsieur Monet e dirgli di alzarsi. Immediatamente ho fatto la stessa cosa, mentre a questo rumore spaventoso si univano le grida provenienti da Lavacourt; sono andata alla finestra e nonostante la grande oscurità ho visto le masse bianche che precipitavano: era il disgelo, quello vero”. Monet osserva dalla finestra quello spettacolo, che lo scuote in profondità. Candide visioni che si muovono in quel nero della notte, e sono sospesi galleggiamenti dentro un nulla di visione che si fa invece nel fondo dell’occhio. Il giorno dopo noleggia una vettura e si fa accompagnare, con Alice e ai bambini, a vedere “la bellezza straziante” di quel paesaggio che è come un mare di ghiaccio che si distende in ogni dove. Già l’8 gennaio in una lettera confessa: “Qui abbiamo avuto un’inondazione e un disgelo terribili e naturalmente io ho cercato di ricavarne qualcosa”. È l’ammissione che quello spettacolo non è passato invano e che il pittore si è messo subito all’opera per dipingerlo. Alla fine saranno una ventina i quadri legati a questo evento atmosferico straordinario, ma solo la metà quelli che possono riferirsi a un primissimo concetto di “serie”, cui Monet ha attribuito in francese il titolo di Débâcle. È in queste opere il senso di una novità epocale non solo per l’impressionismo ma per la pittura intera. Introducendo per la prima volta la necessità di lavorare su una sequenza di immagini, Monet ammette che la complessità del vedere non si possa esaurire in un’unica istantanea. Soprattutto che il tempo entro il quale la pittura si manifesta non possa essere un tempo generico, ma abbia bisogno di raccontare la sua distensione nel corso di una giornata, nelle mutate condizioni di luce. La serie con i disgeli a Vétheuil è il primo nucleo, timoroso, di quella poetica che nel decennio successivo gli farà raggiungere la meraviglia dei covoni e dei pioppi a Giverny e delle cattedrali a Rouen.
Ma i disgeli sono importanti anche per un secondo motivo. Cade qui, per la prima volta si direbbe, il dogma della pittura di plein-air, su cui si era costruita la parabola dell’impressionismo, dallo stesso Monet fondata. Quasi tutti questi quadri con i blocchi di ghiaccio galleggianti - tra cui quello bellissimo che sarà in mostra, dal Kunstmuseum di Berna - sono stati realizzati successivamente nello studio. Una manciata tra essi appena accennati lungo la riva della Senna in quel gennaio del 1880, e invece la più gran parte condotti a termine, o del tutto realizzati, nello studio tra il 1881 e il 1882. Sottraendosi al solo potere della registrazione istantanea, Monet apre alla dimensione infinita del tempo. La pittura intera ne rimane scossa.
(1 - continua)
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