Il gioiello incontra le foto per alchimia diventa scultura

All’Oratorio san Rocco l’incontro di tre artisti: ecco cosa ne esce
Di Virginia Baradel

PADOVA. Due artisti del gioiello contemporaneo incontrano una fotografa tedesca in una galleria di Berlino. Rimangono colpiti dalle sue foto in bianco e nero di siti megalitici. Fuori è quasi inverno, ed è il 2012. Ma nelle foto e nel dialogo che si avvia tra i tre artisti il tempo non è più quello del momento, ma quello dei millenni, quello che fa ammutolire i pensieri. Il frutto di quell’incontro è ora una mostra di rara intensità all’Oratorio di S.Rocco a Padova nell’ambito del format della cultura Ram (Ricerche artistiche metropolitane, fina al 17 novembre). Gli artisti sono Annamaria Zanella e Renzo Pasquale, la fotografa Inea Gukema-Augstein. Certo la scintilla non sarebbe scattata se nella ricerca dei due padovani, ancorché legata al gioiello, non ci fosse stata un’idea di forma plastica ad alto tenore simbolico; ma la sollecitazione venuta dalle foto di Inea ha rotto gli argini dell’ornamento e prodotto vere e proprie sculture che si pongono alle estremità della scala del tempo terreno. Annamaria Zanella dà massimo respiro alla materia bassa, corrosa dal tempo, scartata dalla scena. Come nei suoi gioielli, che appena l’anno scorso sussurravano di lirici guasti al bon ton orafo tra i fasti decadenti di Palazzo Fortuny, la Zanella amplifica la portata espressiva di materie povere, costruisce grandi nidi per il vuoto con lamine di acciaio corten arrugginito, oppure ne colora le superfici con attitudine informale e interseca la flessibile sfera armillare con lastre di vetro irregolari. Nel cavo di una struttura di corten è sospesa anche la collana Zero Blu, di carta e garza; mentre pareti di specchio esaltano la Gold Sphere che occulta la ruggine del ferro delle stringhe con un velo d’oro. Al capo opposto del piano espressivo della ruggine, Renzo Pasquale lavora sull’immacolata perfezione di forme solide levigate sino a sublimarne la materia. Solo la luce, mentre scorre sulle superfici, può rivelare la specchiante levigatezza del marmo nero del Belgio che evoca, in purissima astrazione, le forme neolitiche della Grande Madre e del Menhir. Se nel marmo nero rimane memoria della gravità terrestre, nel plexiglass mutato in poliedri di cristallo di rocca vi è solo la luce che cerca la parete dove darsi come ombra di se stessa. Al marmo di Carrara è invece affidata la forma tettonica primaria, come nei dolmen, come nei templi rupestri. Nell’insieme si tratta di coerenti, e tuttavia sorprendenti, evoluzioni che partono dalle forme minime del gioiello. Le fotografie della Gukema hanno avuto il merito dell’ispirazione, hanno costituito il movente di una ricerca felice, una specie di folgorazione silenziosa. Sono quelle immagini che non conoscono l’accidentalità del tempo, ad indicare il passo perenne della scultura.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova