Il grande ritorno degli Yes «Ci ispirò Stravinskij»

PADOVA. Gli Yes, la band inglese simbolo del rock progressivo, sabato 17 maggio alle 21.30 terrà un imperdibile concerto al Gran Teatro Geox. Sarà la prima di due date italiane del tour europeo del super gruppo che il 18 maggio sarà a Milano. Gli Yes proporranno dal vivo per intero tre album storici dell’era progressive: “The Yes Album” (1971), “Close To The Edge” (1972) e “Going For The One” (1977). Il bassista Chris Squire racconta il gruppo.
Il nuovo tour degli Yes è basato su tre album del periodo classico, perché non avete riunito la formazione classica della band?
«Non sarebbe stato possibile avere con noi Jon Anderson, storico cantante e fondatore della band, perché ormai da anni ha problemi di salute. Abbiamo reclutato il cantante Jon Davison che sta facendo un grande lavoro. Il tastierista Rick Wakeman è molto preso dai suoi progetti solistici e il batterista Bill Bruford non lavora con noi da una vita. Non si può dire, comunque, che gli Yes del periodo classico non siano rappresentati nella formazione odierna perché insieme a me, che ho fatto parte di tutte le formazioni, ci sono due membri storici come Steve Howe alla chitarra) e Alan White alla batteria) Il tastierista Geoff Downes, invece, proviene dalla formazione dei “Drama” del 1980».
Dei tre dischi del periodo progressive degli Yes a cui è dedicato il tour si dice che “The Yes Album” rappresenti la nascita, “Close To The Edge” la vetta e “Going For The One”, l’ultimo capolavoro.
«The Yes Album effettivamente è stato il primo disco che ci ha fatto conoscere. Close To The Edge è stato un album importantissimo non solo per la qualità delle composizioni, ma anche perché ci ha dato la possibilità per la prima volta di confrontarci con delle vere e proprie suite, la cui durata è diventata poi uno dei marchi di fabbrica del rock progressivo. Going For The One è un album che rappresenta un’interessante evoluzione del nostro linguaggio musicale».
Quali sono stati i musicisti che vi hanno dato l’ispirazione di creare il rock progressivo?
«Quando eravamo giovani io e Jon Anderson ascoltavamo tanta musica pop: i Beatles, i Rolling Stones, gli Who, i Cream ma anche la classica, tra cui Stravinskij. Tutte queste cose ci hanno molto influenzato. Certamente quando abbiamo impartito la svolta progressive in noi c’era la voglia di andare oltre la canzone pop da tre minuti».
Gli anni Ottanta vi hanno visto cambiare ancora puntando su composizioni più brevi con album come “Drama”, “90125” e singoli come “Owner Of A Lonely Heart”.
«In quel momento sono cambiate tante cose, anche i musicisti della band. Sentivamo che avevamo bisogno di essere più rock e meno sinfonici».
Il nuovo disco “Heaven and Earth” uscirà a luglio?
«Questa è l’idea, sarà il primo con il nuovo cantante Jon Davison e conterrà tutti pezzi nuovi».
Lei è considerato uno dei migliori bassisti della storia del rock, se dovesse dare un consiglio ad un giovane musicista.
«Io ho avuto la fortuna di imparare diversi stili e di suonare tante cose diverse. Quindi, penso che la cosa più importante sia avere la mente aperta, non aver mai paura di imparare e di subire l’influenza di altri artisti».
Tra i protagonisti della nascita del progressive, ci sono state tre band italiane: Pfm, Banco e le Orme, cosa ne pensa?
«Tre buone band che hanno prodotto della musica interessante».
Prevendite: zedlive.com e fastickets.it.
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