Il gruppo Alì fa cento «Noi assumiamo ancora»

Esiste un imprenditore che nel nefasto 2012, dove tagli e licenziamenti la fanno da padroni, ha già assunto 370 persone? Esiste eccome, si chiama Francesco Canella, patròn dei supermercati Alì. La crescita della sua azienda è impressionante. Nel 2011 Alì Supermercati ha registrato un fatturato di quasi 800 milioni di euro con una crescita rispetto al 2010 del 4,4% a parità di struttura e dell’8,3% in generale. Con oltre 2 milioni di scontrini emessi in media al mese, detiene una quota di mercato in Veneto del 14%. Sempre nel 2011 ha aperto 3 nuovi punti vendita arrivando ad un totale di 95 con 145 neo assunti. E oggi è già a quota 100 punti vendita e 2.900 addetti. Un impero creato dal nulla dalla caparbietà di Francesco Canella, 81 anni il mese prossimo.
Come è iniziata la sua avventura imprenditoriale?
«Ho iniziato a lavorare a 14 anni come garzone e nel 1958 ho aperto il primo punto vendita in via San Gaetano, con tre dipendenti, era il vecchio casolino. Poi è iniziato l’avvento dei supermercati, ho frequentato dei corsi in America e nel 1971 ho aperto il primo in via Curzola, 400 metri quadri e 25 dipendenti. Poi volevo crescere e mi son detto, provo ad aprire 3-4 negozi l’anno nel raggio di 100 chilometri. Nel 2006 il gruppo ha raggiunto i mille miliardi di lire, cinquecento milioni di euro, un altro traguardo inseguito per anni».
Quali sono stati i segreti del suo successo?
«Sono sempre stato vicino al consumatore, mi informavo delle tendenze dei mercati a livello mondiale. Una strategia che ha premiato, l’anno scorso siamo state tra le aziende che sono cresciute di più a livello italiano».
Nei suoi prodotti ha scelto il prezzo o la qualità? E il rapporto umano quanto conta all’interno dei supermercati?
«La qualità al giusto prezzo è stata sempre la nostra filosofia, abbiamo cercato di lavorare sempre con piccole imprese locali, molte delle quali son cresciute assieme a noi. Tutti i prodotti che noi mettiamo sugli scaffali vengono assaggiati da un pool di esperti, che poi compilano una scheda di valutazione. Parte del latte straniero, che costa la metà del nazionale, noi non lo vendiamo. Organizziamo dei corsi per cassieri e direttori su come devono porsi con i clienti. Cerchiamo di essere una grande famiglia e non è insolito che dei nostri addetti diventino veri e propri punti di riferimento per la clientela (c’è stata addirittura una raccolta di firme della clientela contro il trasferimento di un direttore di un supermercato, ndr)».
Come ci si sente ad avere in mano il destino di 2.900 persone e quindi di altrettante famiglie?
«Il personale è molto affiatato con l’azienda e questo è un valore aggiunto. Anch’io visito spesso i negozi».
Qual è stato il momento peggiore della sua carriera, ha commesso degli errori?
«Dal 1975 al 1980 con l’esproprio proletario sono stati anni difficili. Ci dicevano di rimanere calmi e nell’ombra. L’errore più grosso probabilmente è stato quello di acquistare 10 anni fa l’area dell’ex Grosoli a Cadoneghe. Non siamo ancora riusciti ad aprire, un piccolo imprenditore sarebbe morto già da tempo. Comunque anche per aprire il supermercato a Forcellini abbiamo impiegato troppo tempo, ben 15 anni. Per non parlare di Selvazzano dove erano 30 anni che dovevamo aprire il punto vendita che inauguriamo oggi. La burocrazia è micidiale, anche solo per posizionare una cabina elettrica, molto spesso abbiamo inaugurato negozi servendoci di un gruppo elettrogeno».
Come si combatte la crisi dei consumi?
«Purtroppo la crisi c’è e pesa dal 2 al 4%. Si combatte con la qualità dei prodotti e questa è stata la chiave del nostro successo. Negli anni è cambiato il modo di fare la spesa, ora si vende molto con le promozioni e con i prodotti di primo prezzo, allineati ai discount ma con una migliore qualità. A mio parere servono altri 4 anni per uscire dalla crisi».
Le è mai capitato di chiudere dei punti vendita? Gli stabili dei vostri negozi sono in prevalenza di proprietà o siete in affitto?
«Non perché non vendessero, ma alcuni sì, li abbiamo chiusi. Magari per aprirne altri più grandi lì vicino. Per quanto riguarda gli stabili che ospitano i supermercati, circa 90 su cento sono di proprietà. All’inizio della carriera un collega mi diceva “non devi fare l’immobiliarista, ma dedicarti solo alla vendita dei prodotti alimentari”. Forse aveva ragione. Una volta mi è capitato che il proprietario di un negozio mi aumentava ogni anno l’affitto e alla fine non ne potevo più. Da allora ho deciso di comprare sempre, almeno dove si poteva. Ora nell’azienda c’è un settore che si occupa esclusivamente dell’acquisto dei terreni e della realizzazione dei supermercati».
Arrivati a cento supermercati è ora di fermarsi?
«Assolutamente no. All’ex Marangoni di Vigodarzere, se riusciamo apriamo entro fine anno, poi a breve apriremo a Onè di Fonte, ma pure in provincia di Ferrara e a Villadose, nel Rodigino».
Alla sua età non è ancora arrivato il momento di riposarsi?
«Lavorare non mi affatica e voglio tenere ancora tutto sotto controllo». La battuta fa sorridere il figlio Gianni, seduto vicino a lui nell’ufficio di via Olanda 2 in zona industriale, centro direzionale e logistico della catena di supermercati. «Papà dalle 12-14 ore che passava prima in azienda, ora si limita a 8-9» assicura Gianni, «per noi il suo parere è sempre fondamentale».
Cosa la preoccupa maggiormente dell’economia?
«Sono molto preoccupato dalla disoccupazione. Ci sono delle agevolazioni fino all’età di 30 anni. Poi più nulla. Bisognerebbe intervenire con altri sgravi tra i 30 e 60 anni. Un tempo, diplomati e laureati non accettavano di andare a lavorare nei punti vendita, ora c’è la fila. L’altro giorno mi è venuto a trovare un mio vecchio compagno di scuola. Mi ha raccontato della situazione drammatica del figlio di 36 anni, con moglie e due figli e un mutuo da pagare, rimasto senza lavoro perché la sua ditta ha chiuso i battenti. “Devi assumerlo Francesco, ti prego” mi ha detto. Cosa potevo fare? L’ho assunto subito. I tempi son duri, ma se uno ha voglia di fare lo spazio c’è sempre».
Visitare il magazzino di stoccaggio dell’azienda fa strabuzzare gli occhi. Par di girare all’interno di un quartiere, con scaffali alti 10 metri. Magazzinieri con i muletti girano a ritmo frenetico e obbediscono via auricolare ai messaggi del computer, che decide persino la posizione dove stipare la merce.
L’area dei prodotti freschi in mezza giornata si riempie di centinaia di bancali e si svuota: le consegne ai supermercati sono quotidiane. Un indiano ci saluta mentre sta caricando un bancale: vendeva fiori al semaforo di corso Stati Uniti. «Vuoi trovarti un lavoro stabile?» gli ha proposto Gianni Canella qualche anno fa. Lui ha accettato ed è stato assunto. È diventato un punto di riferimento del suo reparto. Oltre ai supermercati, la famiglia Canella si occupa anche di profumi con la catena Unix, che dispone di 28 punti vendita. Le idee su nuove scommesse commerciali, anche in altri settori, a Francesco Canella non mancano, a limitarlo ora sono i figli. Anche se c’è da scommettere che sarebbero vincenti. Nella sua scrivania manca un computer. «Non lo so usare» ammette «ma so leggere i tabulati che stampa». «Ogni 10 anni ognuno di noi deve mettersi in discussione» chiosa. Se lo dice lui.
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