Il primo centro commerciale al mondo nato insieme al Palazzo

“Angelo” (il cognome non si usa nelle piazze) se n’è andato via col banco da piazza delle Erbe: un’apocalisse, non una notizia. Ci manca solo che il Gattamelata scenda dal suo piedistallo con le...
BASCHIERI-AGENZIA BIANCHI-PADOVA-VEDUTA DALL'ALTO DELLE PIAZZE. PIAZZA DELLE ERBE
BASCHIERI-AGENZIA BIANCHI-PADOVA-VEDUTA DALL'ALTO DELLE PIAZZE. PIAZZA DELLE ERBE

“Angelo” (il cognome non si usa nelle piazze) se n’è andato via col banco da piazza delle Erbe: un’apocalisse, non una notizia. Ci manca solo che il Gattamelata scenda dal suo piedistallo con le motivazioni del primo e Padova è servita. Per capire la crisi del presente e pensare il futuro, facciamo un salto nel passato. A quando, ai primi del ’1200 tra le attuali piazza delle Erbe e dei Frutti viene costruito il Palazzo della Ragione: in alto il Tribunale della città, in basso il primo “centro commerciale” d’Italia, con botteghe che vendono carbone, legna, tessuti, lane aprendosi senza soluzione di continuità all’aperto. Dove, dalla campagna circostante, giungono ogni mattina le primizie della terra, vino, uova, pesce fresco, pollame di casa, cacciagione, conigli, pulcini, latte. La vita pulsa tutt’attorno: docenti e studenti della contigua università passeggiano in un vociare di popolo che assiste alle esecuzioni capitali in piazza delle Erbe, conta il numero delle frustate a imbroglioni e insolventi sotto il Vòlto della Corda, si scambia opinioni politiche, si aggiorna sulle vicende dei sìori locali. In uno spazio ristretto si viene a creare un sistema urbano, nel quale cultura e commercio si articolano e s’intrecciano sino a giungere al nostro tempo quasi immutato. I padovani più anziani rammentano infatti la pollivendola che tira il collo alle galline in piazza dei Frutti e incarta a una a una con fogli di giornale uova di giornata. Solo da un paio di decenni il commercio ambulante delle piazze inizia ad entrare in crisi, ai frutaroli subentrano gli immigrati, mentre il popolo dello spritz deforma la consuetudine dell’aperitivo con gli spuncioni in un rito incontinente e sciatto. Mercati e supermercati aprono in tutti i quartieri, tasse e burocrazia rendono intollerabili le fatiche quotidiane e i minimi guadagni dell’ambulante nelle piazze. Chiudono i piccoli ma anche i nomi storici, gli immigrati esitano. Ormai ovunque dall’ufficio la donna che lavora ordina con la App del suo super la spesa, che il servizio Quickly le recapita a domicilio all’orario convenuto. Mentre a N. Y. Amazon sperimenta lo stesso servizio utilizzando droni. È ovvio che un mutamento epocale non lo si contrasta da perdenti, ma se ne cerca un’alternativa. Forse recuperandola nel mercato medioevale a km. zero, nelle uova di galline ruspanti e in prodotti appena spiccati dall’albero, nel vino delle nostre aziende vinicole, che debbono mettere a disposizione il 4. 0 dell’agricoltura nostrana.

Il turismo ha bisogno di piazze colme e festose, che trasmettano l’identità di Padova. Bisogna allora ripensarne un nuovo sistema, con bar dai prodotti accattivanti come quelli dei Osei, col bacareto delle leccornie di pesce da gustare col vin bianco. Servizio affettuoso, buona musica, sorrisi ai laureandi e alle vecchie signore chiaccherone. Ottimo nei banchi contigui un vintage di qualità, e le tante piccole cose indispensabili, che a Padova sono fuggite in mercatoni di periferia.

Gli amministratori di Padova nel 1200 ci hanno consegnato una città conosciuta nel mondo. Tocca ora a quelli 2.0 ricrearne lo splendore.

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