Il soldato di Maniero esce dal carcere: dopo 23 anni Ennio Rigato è libero

PADOVA. Ennio Rigato, un nome e un cognome che evocano le pagine più sanguinose della storia criminale in terra veneta. Soldato nelle fila della mala del Brenta, imparentato con l’ex boss Felice Maniero (è fratello della prima moglie di Faccia d’Angelo, Marina Agostina Rigato). Rapinatore spregiudicato dal grilletto facile, sospettato di avere “zittito” un altro pregiudicato, Umberto Tacchetto di Sant’Angelo di Piove, trovato cadavere in un canale alla periferia di Cavarzere sei mesi dopo la rapina che gli sarebbe costata la condanna definitiva a 30 anni di carcere (ma la sua responsabilità non è stata mai provata). Domenica sarà una giornata davvero di festa per Rigato, 65 anni, padovano originario di Granze di Camin. Sarà il primo giorno da uomo libero. Dopo 23 anni, 3 mesi e 21 giorni trascorsi dietro le sbarre della casa di reclusione Due Palazzi.

Di nuovo libero
Il 3 marzo finirà di scontare la condanna a 30 anni iniziata il 10 novembre del 1995. E uscirà per sempre, anche se dall’agosto 2017 varca il cancello della struttura penitenziaria tutti i giorni (feriali) in seguito all’ammissione al lavoro esterno. Ha beneficiato di uno sconto di tre anni in seguito all’indulto, poi di altri quasi quattro anni grazie alla liberazione anticipata come previsto dalla normativa (45 giorni di sconto per ogni semestre di pena scontata sempreché non ci siano rilievi disciplinari). Nessun ostacolo al ritorno a una vita da uomo libero.

Rapina nel sangue
«Chi prese l’iniziativa di sparare a Creazzo? Semplice: io, Massimo Rigato e Stefano Ghiro eravamo all’interno della banca. A far da palo c’era Ennio Rigato. Il kalashnikov l’usava sempre solo lui: sparava un colpo alla volta, bisognava mirare e lui aveva un occhio solo. L’iniziativa è partita da lui». Gennaio 2001 nel Palazzo di giustizia di Vicenza: davanti alla Corte d’assise il pentito Pasqualino Crosta, originario di Sant’Angelo di Piove, ricostruisce la rapina alla banca Popolare di Olmo di Creazzo nel vicentino messa a segno il 20 aprile 1993. Una rapina ricostruita da Crosta nel dettaglio la prima volta il 12 giugno del 1996 davanti ai magistrati della Distrettuale Antimafia all’inizio del suo percorso di collaborazione. Per un bottino di 40 milioni di lire vengono trucidati due poliziotti che arrivano a bordo di una volante appena scattato l’allarme: Loris Giazzon, 27 anni, è ucciso sul colpo, il suo collega Maurizio Cesarotto è ferito gravemente e, da allora, vivrà in sedia a rotelle.
Crosta confessa. E, di conseguenza, accusa anche i complici facendo nomi e cognomi. E racconta che mentre lui, Massimo Rigato e Ghiro stavano uscendo dalla filiale proteggendosi con gli ostaggi, Ennio Rigato, che faceva da palo, sparò raffiche di kalashnikov contro i due agenti.
carriera criminale
Crosta aveva pure ricordato il crudele commento urlato in dialetto da Ennio Rigato ai sodali dopo aver colpito i due poliziotti: «Ghe ne go’ roversà do». Eppure sarà proprio Ennio Rigato a scegliere un rito alternativo che gli consentirà di sfuggire a una ben peggiore condanna. La sua batteria di fuoco – diventata famosa come la «banda della parrucca rossa» per la caratteristica di presentarsi nelle banche indossando sempre appariscenti parrucche – ha commesso colpi e assalti in quasi tutto il Veneto. Terzogenito di Eliodoro Rigato (un passato malavitoso nei furti di cavalli con la complicità di nomadi) e di Luigia Scattolin, aveva cominciato giovanissimo la carriera criminale. Alle spalle decine di precedenti per rapina e detenzione di armi come un tentativo di evasione con sequestro degli agenti di custodia. Ha pure conquistato sul campo un occhio di vetro dopo un infortunio.
La condanna
Il 23 ottobre del 2000 con rito abbreviato Rigato fu condannato a 30 anni per concorso in omicidio e per una settantina di rapine. Pronuncia confermata prima in appello e pure in Cassazione. Fedelissimo di Maniero, era zio di Elena, la figlia dell’ex boss volata dalla finestra di una mansarda di Pescara nel 2006 a nemmeno 30 anni.
È passato: ora il futuro è tutto da scrivere. —
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